Agraria, Federica Carucci e il team che studia la molecola di azoto che agisce sul pomodoro e sul frumento

by Federica Carretta

Uno dei principali problemi legati alle colture presenti nell’area mediterranea riguarda situazioni di carenza idrica e bassi input.

I ricercatori della Facoltà di Agraria di Foggia stanno cercando di ovviare a queste difficoltà mediante sperimentazioni sul campo. Relativamente al frumento duro, in particolare, si occupano dell’effetto di bassi livelli di concimazione azotata e della carenza idrica sulla produttività e sulla qualità tecnologica, con un sostanziale riferimento allo studio della variazione dell’efficienza d’uso dell’azoto per le proteine.

Bonculture ha intervistato la dottoranda Federica Carucci del Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente che fa parte di un team incentrato sulla valutazione dell’effetto della molecola azoxystrobin (sostanza attiva presente nei fungicidi, ndr.) su alcuni parametri fisiologici e produttivi del pomodoro e del frumento, in relazione a situazioni di stress idrico.

Quali sono le varie linee di ricerca che segui col tuo team di agronomia?

Per quel che riguarda il pomodoro, tutti gli studi compiuti fino ad ora, riguardano il risparmio idrico e la salvaguardia dell’acqua che – come sappiamo – costituisce il problema principale dell’area mediterranea. Il pomodoro è per noi una delle colture più importanti, ma richiede anche un maggiore dispendio di acqua. La letteratura scientifica dimostra chiaramente che la restituzione del 75% del consumo evapotraspirativo della coltura è sufficiente a mantenere le produzioni uguali e, allo stesso tempo, è possibile ottenere un prodotto che a livello qualitativo è superiore. Oltre a questo, c’è la possibilità di utilizzare la molecola azoxystrobin che, oltre ad avere la funzione di fungicida, innesca anche dei meccanismi fisiologici della pianta aumentandone la risposta in caso di stress idrico.

Quindi, questo è più o meno ciò che accade all’interno dei laboratori o durante sperimentazioni sul campo. Ciò che interessa al consumatore, però, è il prodotto finito. A cosa potrebbero portare questi risultati, ad esempio, nel campo degli alimenti biologici, oggi sempre più in voga?

Questo costituisce una parte di ricerca “recente”, nel senso che ci stiamo ancora lavorando. Ad ogni modo, in linea di massima, potremmo traslare il discorso delle pratiche agronomiche appena descritte alle produzioni biologiche. Adispetto di quello che si crede  non ci sono molti studi scientifici riguardanti le tecniche produttive in regime biologico. Per cui, gli agricoltori, non potendosi affidare a dei manuali, spesso e volentieri si concentrano sul cosiddetto “sentito dire”, senza avvalersi di alcuna base scientifica.

Ciò che state cercando di fare con queste nuove teorizzazioni, quindi, è incrementare la letteratura per fornire una base scientifica a tutti quegli agricoltori che intendono cimentarsi nelle produzioni biologiche.

Esattamente. E vi dirò di più: il problema fondamentale della produzione biologica è la qualità del prodotto finito. Le proprietà del glutine diminuiscono drasticamente, le proteine sono inferiori e via discorrendo. Tutto questo è legato al fatto che in biologico è vietato distribuire fertilizzanti minerali, ma solo organici. Questa ultima tipologia di concime è generalmente distribuita soltanto all’inizio del ciclo produttivo, per cui aleggia sempre un’incertezza di fondo sulla disponibilità finale di azoto per la pianta. Lo studio che stiamo conducendo al momento è quello di quantificare, in regime organico, quanto azoto la pianta è in grado di assorbire. In realtà, anche lo zolfo ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del prodotto finale in quanto è fondamentale per la formazione dei legami nelle proteine. In buona sostanza, in campo del biologico, ci preme comprendere come l’azoto e lo zolfo siano in grado di interagire tra di loro.

Quali sono, a fronte di tutto questo che hai appena detto, i problemi fondamentali che il consumatore può incontrare quando acquista dei prodotti biologici?

Sicuramente, uno dei primi aspetti è la qualità del prodotto per la trasformazione del grano duro in pasta, che risulta complicata perché il prodotto di partenza è scadente e dal punto di vista delle proteine e dal punto di vista del glutine. Per cui, per quel che ci riguarda, l’obiettivo è quello di trovare delle tecniche agronomiche in grado di migliorare la qualità del prodotto finale. Ciò si traduce anche in un tentativo di ridurre le frodi alimentari. L’industria molitoria ha, infatti, un problema a pastificare perché è molto difficile lavorare un prodotto di bassa qualità.

Potresti spiegare meglio in cosa consistono queste frodi alimentari?

Quello che spesso accade è che vengono mescolati prodotti di buona qualità a quelli di più bassa qualità tecnologica. La frode consiste proprio nel non segnalare al consumatore questi processi che avvengono in fase di pastificazione. Potremmo riassumere il tutto dicendo che – delle volte – non sappiamo ciò che stiamo mangiando.

                                                                            By   Federica A. Carretta

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