“Non siamo né criminali né caporali”. Gli agricoltori si difendono da una etichetta infame

by Antonella Soccio

Il recente arresto ai domiciliari dei due imprenditori agricoli e fratelli foggiani Domenico e Aldo Giordano, accusati, nell’inchiesta del procuratore aggiunto della Procura di Foggia Francesca Romana Pirrelli e del pm Rosa Pensa, di aver sottopagato e sottoposto 24 braccianti ingaggiati a situazioni alloggiative degradanti ha molto scosso imprese e produttori di materie prime agricole nel Tavoliere delle Puglie.

A quasi un anno dagli incidenti mortali che hanno coinvolto i braccianti stranieri nelle campagne di Lesina e Castelluccio dei Sauri, dopo l’arrivo del Ministro del Lavoro Luigi Di Maio e del Ministro dell’Interno Matteo Salvini in Prefettura, in Capitanata poco è cambiato nei fatti e nella gestione del lavoro bracciantile.

Le aziende datoriali sane subiscono ancora un’ingiusta e gravemente lesiva concorrenza sleale dalle condotte criminali. Come hanno scritto le organizzazioni agricole in un documento consegnato a Di Maio poco più di un mese fa in Camera di Commercio a Foggia, i maggiori e rafforzati controlli in atto non bastano per sradicare una grave ed atavica problematica.

La Legge 199

Gli imprenditori agricoli Giulio Capobianco, Matteo Melillo e Angelo e Raffaele Miano, che insieme raggruppano circa 500 ettari coltivati a pomodoro, non ci stanno ad apparire sulla stampa locale e nazionale con l’etichetta di “delinquenti” e sfruttatori. Gli agricoltori, spiegano a Bonculture, sono i primi a volere una modifica sostanziale della Legge 199 dell’allora Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, meglio conosciuta come Legge contro il caporalato, che, nella parte del testo normativo, a loro avviso, non opera la dovuta e necessaria distinzione tra reati gravi/gravissimi e violazioni, anche solo meramente formali, della legislazione sul lavoro e della contrattazione collettiva. Una condizione questa, che determina una totale discrezionalità da parte di chi è deputato al controllo e all’applicazione della legge, in primis gli ispettori del lavoro e a un secondo livello la stessa magistratura.

Secondo il loro racconto, esistono tanti aspetti del fenomeno caporalato che sfuggono all’opinione pubblica.

Le identità

“Noi assumiamo gli operai, che vengono così sottoposti a visita medica, alla formazione, consegniamo loro i dispositivi di sicurezza, ma 8 volte su 10, il mattino seguente a lavorare non verrà il migrante assunto, ma un altro ragazzo selezionato e smistato dai caporali. E questo accade anche a Casa Samkara (la foresteria regionale), non solo a Palmori o negli altri ghetti. Ovviamente se quel giorno si presenta l’ispettore del lavoro, troverà persone non assunte, lavoratori a nero e ti trovi nel torto”, è la denuncia di Capobianco.

Altri casi riguardano coloro che devono rinnovare il permesso di soggiorno. “Mi è capitato spesso che la stessa persona cambia generalità”, continua Capobianco.

La paga

Angelo Miano è ancora più schietto. Un’azienda ortofrutticola non può reggersi e non può portare reddito se non è ampia almeno 35 ettari. “In Capitanata e in Puglia solo le aziende agricole hanno incrementato l’occupazione del 7%, siamo noi quelli che diamo lavoro e che creiamo ricchezza per il territorio, nonostante i bassi prezzi e l’iniquità del mercato. Siamo produttori di cibo e custodi del paesaggio pugliese. Lo abbiamo detto più volte ai sindacati: è giusto che la paga dei braccianti sia rapportata ai prezzi. Sopra i 5 euro netti all’ora, con gli attuali prezzi, l’imprenditore agricolo non ci sta con le spese. Di Maio ha parlato di 9 euro, oggi si pagano dai 5 ai 7 euro all’ora, ma lo stesso Di Maio ha anche evidenziato che è necessario adeguare i prezzi dei prodotti ai costi dei salari, alle paghe reali e non disdettate”.

In un giorno, con la raccolta meccanizzata, si raccolgono circa 1000 quintali di pomodoro, pari ad un ettaro. 250 quintali in un’ora. 4 camion al giorno. 1000 quintali al giorno equivalgono ad un costo di raccolta pari a 2mila euro. Lo stesso costo, manualmente, si spalma in un tempo più dilatato. 7 euro a cassone, per il migrante.

Caporali, caponeri o capisquadra?

Negli ultimi anni, come si sa, si è andata delineando una nuova figura di caporale che va ben oltre il ruolo di intermediario tra domanda e offerta di lavoro. Oggi, il caporale esercita un controllo completo sulla vita dei braccianti, gestendone le assunzioni e la paga e provvedendo, dietro compenso, a tutte le atre necessità: cibo, casa, trasporti. Ma, come rileva Raffaele Miano, il “caporale” se inteso come caposquadra è fondamentale per organizzare il lavoro. “La figura del caporale onesto va legalizzata, va formalizzata. Serve un intermediario e serve qualcuno che gestisca il trasporto, dal momento che la Regione ha promesso navette e autobus rurali, ma non s’è mai visto nulla”.

Il trasporto

Matteo Melillo va personalmente a prendere i migranti nei loro alloggi. 2 viaggi all’alba in un pullmino che può accogliere massimo 7 migranti. Oggi gli agricoltori si trovano nella strana situazione per cui un loro dipendente assunto non può guidare il pullmino, pena essere scambiato per caporale dai controllori. Chi paga il costo fisico e morale di un imprenditore che per raccogliere il suo prodotto nei campi, per lo più svenduto e deprezzato, deve quasi “raccattare” la manovalanza personalmente? Per la legge il datore di lavoro è responsabile dei migranti fino al loro rientro a “casa”.

“A Palmori c’è ormai un presidio fisso dei Carabinieri a controllare chi guida, di notte, invece, quando vengono a rubarci i trattori e i mezzi non li vediamo mai, stanno solo di giorno”, sbotta Angelo Miano.

Ma quali sono le criticità del sistema? Nel 2018 l’associazione Terra! ha provato a metterle in fila. Anzitutto l’elevata domanda di forza lavoro flessibile e per brevi periodi, soprattutto durante le stagioni del raccolto. Poi, un sistema produttivo altamente frammentato e non integrato; l’isolamento e la lontananza dei campi di raccolta (es. zone rurali molto isolate e remote) in cui è impossibile fare controlli, o dove le condizioni di lavoro sono estreme come nelle serre); l’inefficienza strutturale delle Organizzazioni dei Produttori (OP) che non rappresentano e tutelano in modo adeguato gli interessi dei piccoli produttori; la presenza di organizzazioni criminali e infine la mancanza di sistemi ufficiali di reclutamento.

Alloggiarli nei propri fondi non sarebbe una soluzione? “Non lo è, se i lavoratori preferiscono organizzarsi anche nei ghetti”, tagliano corto.

È vero che l’agricoltura senza migranti crollerebbe? “Non so se è vero- rileva Miano- so che si stanno avvicinando al nostro settore di nuovo molti giovani”.

“Siamo i giardinieri del mondo- prosegue Capobianco- ci dovrebbero dire grazie e invece ci dipingono come dei delinquenti. Tutti traggono profitto dal nostro lavoro: la Gdo, le farmacie agricole, i sindacati. Anche gli stessi migranti, che non aspettano la busta paga, ma il più delle volte vogliono essere pagati subito. Siamo l’unica categoria che non può delocalizzare e che non può mandare in cassa integrazione: il nostro prodotto va raccolto. Il lavoro è per noi un costo fisso che non possiamo in alcun modo decurtare. Nessuno parla oggi dei flussi stranieri: in Italia abbiamo chiesto 38mila lavoratori stagionali, 1000 in provincia di Foggia. Flussi che dovranno arrivare per i canali ufficiali da Marocco, Albania, Macedonia.

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