L’ambiguità è la musa di questo ungherese di Hollywood, un americano che è europeo, un professionista fedele per trent’anni alla stessa major e che non è affatto un esecutore anonimo, un regista di film di successo misconosciuto come autore, un uomo-cinema che ha avuto l’Oscar ma non la considerazione della critica.
Orio Caldiron
Orio Caldiron
Saggista e critico, è uno dei maggiori studiosi italiani di cinema, autore di centinaia di scritti in cui la straordinaria competenza si salda alla passione cinefila in un linguaggio immediato e colloquiale. Ha dedicato mostre e programmi televisivi a personalità e momenti del cinema italiano. Docente universitario di lungo corso, direttore di prestigiose collane editoriali, è stato Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
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Cinema, Storie e Miti
Il maestro di Vigevano e la scuola di oltre cinquant’anni fa cosa possono ancora dirci?
Nonostante i suoi vistosi limiti – mancanza di vero aggiornamento degli insegnanti, carenza cronica di strutture adeguate, programmi pericolosamente sospesi tra vecchio e nuovo, ossessive circolari scritte in burocratese al limite del nonsense – la scuola dell’obbligo nata nel 1962 apre nuovi, insperati orizzonti a migliaia di ragazzi dei ceti medi e del proletariato
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Non ricordo chi l’ha detto, ma quando vedo Marilyn so che gli uomini sono deboli, quando vedo Barbara Stanwyck so che le donne sono forti.
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Nel panorama del cinema italiano solo pochissimi registi sono riusciti a coniugare popolare e sperimentale, genere e autorialità. Se Argento è uno di loro – e lo deve tra l’altro a Profondo rosso che in molti considerano il suo capolavoro – è perché il film si rivela un’operazione ispirata e complessa dai numerosi punti di forza.
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Se è impossibile rievocare la storia di un genere che echeggia di voci, di divi, di miti, di canzoni, si può invece segnalare la svolta del dopoguerra che coincide con l’affermazione di una nuova generazione di registi – Stanley Donen, Vincente Minnelli, Gene Kelly – a cui si deve la trasformazione del linguaggio del musical in stile.
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Senza mai aver fatto parte dell’olimpo hollywoodiano e con una fama affidata soprattutto a tre film girati in Europa, è una delle più grandi attrici-mito del cinema silenzioso, una delle pochissime in grado di durare nel tempo, imponendosi anche alle nuove generazioni che non hanno mai visto i suoi film ma conoscono il suo volto luminoso inquadrato dal caschetto di capelli neri.
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E dopo Gilda? Ci sono film che consacrano. Ci sono film che bruciano. Gilda appartiene a tutte e due le categorie. Negli altri film venuti dopo si insegue il miraggio di una affermazione irripetibile.
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Straordinario testimonial del cinema popolare, sospeso secondo Bernardo Bertolucci tra “bella volgarità” e “grande sofisticazione”, è riuscito a fare della sua opera il pellegrinaggio alla fonte del proprio, personalissimo e viscerale rapporto con il mezzo in cui mito familiare e pulsioni collettive s’incontrano in modo sorprendente.
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Se richiama la spontanea naturalezza degli eroi tutti d’un pezzo del cinema classico, è a suo agio con i personaggi tormentati e vulnerabili, che non riescono a nascondere le loro inquietudini.
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Saranno stati i suoi occhi verdi a mandorla a suggerire ai produttori di imporre alla giovanissima Myrna Loy – nome d’arte di Myrna Williams, nata nel Montana, il 2 agosto 1905 – lo stereotipo della vamp orientale, cattivissima e disinibita, che l’accompagna per almeno un decennio tra l’ultima stagione del muto e l’inizio del sonoro.