Sin dall’apparizione a cavallo di una sedia in L’angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg, s’impone per la sua prorompente fisicità, dopo il lungo apprendistato nello spettacolo berlinese – cinema, rivista, varietà – degli inquieti anni venti.
Orio Caldiron
Orio Caldiron
Saggista e critico, è uno dei maggiori studiosi italiani di cinema, autore di centinaia di scritti in cui la straordinaria competenza si salda alla passione cinefila in un linguaggio immediato e colloquiale. Ha dedicato mostre e programmi televisivi a personalità e momenti del cinema italiano. Docente universitario di lungo corso, direttore di prestigiose collane editoriali, è stato Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
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«Quando si è artisti, quando si creano film, è molto importante non essere logici. Bisogna essere incoerenti. Se si è logici, la bellezza sfugge, scompare dalle tue opere. Se si ha fiducia nelle proprie emozioni, si può essere del tutto incoerenti. Non fa nulla. Perché si ha il potere di cogliere le conseguenze delle emozioni che hai suscitato. Per sempre».
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Cinema, Storie e MitiFemmesStorie
L’incubo del quotidiano, Ruth Rendell la regina britannica del giallo
Nessuna sorpresa se nella patria di Agatha Christie, gli scrittori di mystery, anzi le scrittrici, sono presi sul serio. Sarà un caso che due tra le più celebri signore del crimine di carta siano state sedute alla Camera dei Lord, Ruth Rendell tra le fila dei laburisti e P.D. James tra i conservatori?
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Nel segno del noir si svolge quasi tutta la breve ma smagliante carriera di Gloria Grahame una delle più singolari incarnazioni della bad girl in cui rivive l’immagine della donna fatale d’antan ma con toni più foschi e più moderni bagliori.
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Il volto intenso, la camminata altera, il magnetismo della immedesimazione totale, a cui non sono estranee la tenerezza e l’ironia, fanno di Greta una delle più alte incarnazioni del cinema come arte, confrontata a più riprese con il grande Charlot di Chaplin.
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Sempre in bilico tra concretezza sanguigna e spiazzante onirismo, il grande commediante pensa con il corpo, mettendo in scena con il distacco che non esclude la tenerezza l’inedita e dolente fisiologia delle passioni in assoluta controtendenza nei confronti del cinema dell’epoca.
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“Non ci sarà mai una seconda Audrey Hepburn. Lei resterà per sempre un’immagine del suo tempo. Dipende tutto da un elemento x, un quid particolare che qualcuno ha e qualcun altro no. Audrey aveva quel qualcosa di speciale.”
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Il fascino di Il segno di Venere sta nella sua capacità di mischiare le carte, di svariare continuamente dal sapore neorealista al cicaleccio dialettale, dalle esibizioni degli interpreti ai soprassalti della vicenda. È una sorta di prova generale, di cantiere aperto
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L’attività del critico, anche per quanto riguarda il cinema, s’incontra a più riprese con le incombenze del redattore della Einaudi che negli uffici torinesi di via Po si dedica ai libri degli altri. Se è a Cesare Zavattini che chiede per primo di pubblicare le sceneggiature dei suoi film più celebri, ottenendone un clamoroso rifiuto, è poi con Michelangelo Antonioni che nel ‘64 riesce a varare Sei film, che da Le amiche (1955) a Deserto rosso (1964) attraversa la grande stagione del cinema moderno.
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Nella sua scrittura epifanica, in cui tutto è “qui e ora”, si riflettono la crisi della rappresentazione, l’ansia parossistica di dominare la realtà e insieme lo smarrimento di chi ha la coscienza della crisi e cerca di uscirne attraverso la provocazione. La sua tenace e inappagata voglia di cinema, la sua frequente dichiarazione di essere pronto al grande salto, il progetto di passare alla regia che affiora a più riprese e viene continuamente rimandato, configurano una precisa intenzionalità autoriale che si rivela un nodo problematico di grande ricchezza.