“Old Boy” per molti era un film ‘prodotto da Tarantino’ mentre in realtà il merito del regista americano era stato quello di premiare la pellicola di Park Chan-wook con il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2004. Accanto al pur importantissimo e meritato premio arrivava l’eco della critica che, all’unisono, urlava al capolavoro.
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La donna del ritratto: sogno, colpa e delitto nel noir senza tempo di Fritz Lang
Adattando il romanzo di JH Wallis, Fritz Lang, per La donna del ritratto, il suo nono film americano, porta sullo schermo un archetipo del genere noir: un uomo imprigionato in una situazione surreale che lo trasformerà da cittadino onesto, “un vecchio barbagianni” in un fuggitivo disperato disposto a tutto pur di salvare la pelle.
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Il Favoloso mondo di Amélie: compie 20 anni il film cult e iperbolico di Jean-Pierre Jeunet dalla realtà frantumata e ricomposta continuamente
Scritto e diretto da Jean-Pierre Jeunet , il film è uscito nelle sale francesi nel 2001 (in Italia l’anno successivo), ottenendo un successo mondiale impressionante a fronte di un budget di produzione piuttosto basso (circa 11 milioni di euro), ma evidentemente sufficiente per realizzare uno dei film più iconici e popolari degli ultimi venti anni.
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“Ultimo tango a Parigi”, come l’arte può salvare i capolavori dalla censura
Riguardarlo oggi ci permette di capire che Ultimo tango a Parigi ha sempre fatto discutere non solo per il tema che fu al centro delle motivazioni della censura, ma per la violenza – esplicita e meno esplicita – che accompagna tutto il film e con cui vengono trattati alcuni argomenti, come la famiglia e i figli, in un’Italia democristiana che da lì a poco tempo avrebbe avuto bisogno di un referendum
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Nello scenario del totalitarismo novecentesco, se Germania e Unione Sovietica considerano il cinema lo strumento privilegiato della persuasione occulta, la cassa di risonanza dei rituali illusionistici in cui le dittature si mettono in posa, Spagna e Italia sembrano aver fatto un uso meno clamoroso dell’ “arma più forte”.
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La nuova formula assicura alla rivista tirature clamorose, mentre la Signorina Grandi Firme comincia il percorso trionfale che ne fa ancora oggi il contrassegno dei sogni, dei desideri, delle frustrazioni di un’epoca.
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Nella grande stagione della cartellonistica italiana che va dagli aurorali anni quaranta ai gloriosi sessanta, Carlantonio Longi – è nato a Livorno l’8 novembre 1921 e muore a Siena il 5 settembre 1980 a soli cinquantotto anni – si impadronisce delle terre incognite del cinema, procedendo con il passo spedito del folletto mercuriale, con la disinvolta curiosità di chi si avventura nei generi più diversi e nelle varie tecniche, giocando sapientemente con le forme e con i colori.
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Sempre sospeso tra l’essere soltanto un collaboratore dell’autore che si limita ad avviare il processo realizzativo del film, di cui però ignora l’esito ultimo o un superautore che regge le fila di vari progetti nei quali è possibile riconoscere, al di là della variabilità dei registi, la coerente continuità dei modelli narrativi e strutturali.
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Nei vari numeri di «Il Selvaggio» emergono gli estri e gli umori del maledetto toscano, ma anche le contraddizioni del tempo. Non si può trascurare Strapaese, che si proponeva di esaltare i valori rivoluzionari dello spirito paesano e nazionale in opposizione al cosmopolitismo moderno, industriale, cittadino di Stracittà. Se Mino Maccari incarna l’insolente spavalderia di Strapaese, Massimo Bontempelli è l’instancabile profeta di Stracittà.
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Bonaventura «c’est moi», Sergio Tofano nel suo impeccabile understatement non l’ha mai detto. Ma avrebbe potuto dirlo benissimo senza neppure il bisogno di esibire le prove.