Sin dai primi film del dopoguerra il suo tratto distintivo sembra essere il richiamo all’attualità. Insieme alla scelta di muoversi nell’immediatezza, piazzando la macchina da presa tra le case bombardate, nelle balere in cui gli americani ballano con le signorine, nella borgata in cui manca l’acqua e tutto.
Cinema, Storie e Miti
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Nell’anemico panorama del cinema italiano di fine anni ottanta è un debutto che dice molte cose sull’autore, sull’amore per le sfide più impegnative, sulla passione per il cinema-spettacolo che cresce nel rapporto con un produttore importante, sull’interesse per l’artigianato cinematografico e i generi forti in grado di rapportarsi al pubblico in sala.
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Nessun altro regista italiano ha come lui la vocazione del testimone, di chi ha vissuto al presente la storia del cinema, ma spesso anche della società, e può dire io c’ero. Nessuno più di Carlo Lizzani.
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Non è da tutti debuttare a ventisei anni con un capolavoro che continua ancora oggi a fare discutere. La stessa scelta di prendersela con uno degli uomini più famosi e più potenti del mondo si rivela una scorciatoia verso la celebrità, con cui il favoloso personaggio è già da tempo in buoni rapporti.
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Quando ci si chiede come gli sia riuscito di contribuire in modo così incisivo e determinante al decollo della serialità nazionale, non si possono dimenticare i percorsi intrecciati della sua vita straordinaria per cui un uomo di libri come lui si è incontrato con l’insegnamento, il palcoscenico, la televisione, acquisendo la dimensione mediologica purtroppo a lungo estranea alla cultura italiana.
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Diciamolo subito: esiste un cinema prima di Voyage dans la lune e un cinema dopo. In quindici minuti Méliès inventa un genere (o meglio lo sdogana, perché il genere, quello della fantascienza cinematografica, lui lo ha già inventato qualche anno prima), mostra al mondo l’esistenza degli effetti speciali, cambia trenta ambientazioni, crea (anche se non ne è consapevole) il primo film distribuito su scala mondiale della storia.
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Se restiamo davanti alle porte delle camere da letto, quando tutto avviene all’interno, è perché saremo noi spettatori a costruire la storia assieme al regista mentre il film scorre sullo schermo. «Il gioco della messinscena non si può fare che in tre: Lubitsch, il film e il pubblico», dice Truffaut.
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Ci sono tanti modi di far coppia, sullo schermo come nella vita. Qualcuno fa tutto da solo, ma un altro tipo di attore si completa con la presenza del compagno, senza del quale neppure esisterebbe. Il caso di Matthau e Lemmon sta a sé. Sono anzitutto due straordinari solisti.
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Il cinema non riproduce la città, la inventa. Se la immagina come vuole. Scompone e ricompone a suo capriccio strade e monumenti, edifici e persone, abitudini e gesti. Stravolge piani regolatori e assetti urbanistici, elude codici della strada e leggi di gravità, costruisce percorsi impossibili ignorando sensi unici e divieti di sosta.
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Girato in meno di un anno, tra il 1982 e il 1983, C’era una volta in America è universalmente riconosciuto come uno dei film più importanti della cinematografia mondiale. S