Attraverso i suoi scatti la Battaglia ha raccontato e, per fortuna, continua a raccontare il mondo ma anche sé stessa, rivedendosi nei volti delle donne silenti e costrette dal peso di una società in cui vince il più forte, ma anche di bambini innocenti. Sono volti bellissimi che non hanno bisogno della parola per esprimere il peso della storia. Letizia Battaglia è stata volutamente la testimone di un periodo pesante, di uno stereotipo degradante.
Cinema
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Nello scenario del totalitarismo novecentesco, se Germania e Unione Sovietica considerano il cinema lo strumento privilegiato della persuasione occulta, la cassa di risonanza dei rituali illusionistici in cui le dittature si mettono in posa, Spagna e Italia sembrano aver fatto un uso meno clamoroso dell’ “arma più forte”.
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Film
Non conosci Papicha: il film sulla resistenza di una giovane algerina che voleva fare la stilista
Il film, tutt’ora bandito in patria per motivi mai chiariti, è distribuito in Italia da Teodora Film.
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Polvere di Stelle
Hanna Schygulla e gli aneliti di libertà di una icona che aveva bisogno di disordine
Sullo schermo si fa notare in L’ amore è più freddo della morte (1969) che, tra atmosfere da noir americano e omaggi alla nouvelle vague, inaugura la prima stagione del cinema di Fassbinder in cui è la presenza più ricorrente.
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La nuova formula assicura alla rivista tirature clamorose, mentre la Signorina Grandi Firme comincia il percorso trionfale che ne fa ancora oggi il contrassegno dei sogni, dei desideri, delle frustrazioni di un’epoca.
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Nella grande stagione della cartellonistica italiana che va dagli aurorali anni quaranta ai gloriosi sessanta, Carlantonio Longi – è nato a Livorno l’8 novembre 1921 e muore a Siena il 5 settembre 1980 a soli cinquantotto anni – si impadronisce delle terre incognite del cinema, procedendo con il passo spedito del folletto mercuriale, con la disinvolta curiosità di chi si avventura nei generi più diversi e nelle varie tecniche, giocando sapientemente con le forme e con i colori.
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Film
Pino, il film d’arte sul genio creativo di Pino Pascali evoca ed osa. «Chi lascia traccia lascia una ferita»
Pino Pascali è stato protagonista di una stagione artistica irripetibile, una temperie culturale alla quale il suo estro si è abbeverato, ricambiando con pensieri e opere che hanno a loro volta ispirato generazioni di artisti. Scultore, scenografo, performer, creativo, pubblicitario, tutto in 32, fulminei, anni.
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Sempre sospeso tra l’essere soltanto un collaboratore dell’autore che si limita ad avviare il processo realizzativo del film, di cui però ignora l’esito ultimo o un superautore che regge le fila di vari progetti nei quali è possibile riconoscere, al di là della variabilità dei registi, la coerente continuità dei modelli narrativi e strutturali.
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Nei vari numeri di «Il Selvaggio» emergono gli estri e gli umori del maledetto toscano, ma anche le contraddizioni del tempo. Non si può trascurare Strapaese, che si proponeva di esaltare i valori rivoluzionari dello spirito paesano e nazionale in opposizione al cosmopolitismo moderno, industriale, cittadino di Stracittà. Se Mino Maccari incarna l’insolente spavalderia di Strapaese, Massimo Bontempelli è l’instancabile profeta di Stracittà.
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Bonaventura «c’est moi», Sergio Tofano nel suo impeccabile understatement non l’ha mai detto. Ma avrebbe potuto dirlo benissimo senza neppure il bisogno di esibire le prove.