Arrivederci Stanlio e Ollio

by Orio Caldiron

Non occorre scomodare Philip Marlowe, come fa Osvaldo Soriano in Triste, solitario y final, per sapere che già nei primi anni Quaranta le cose non vanno troppo bene per la coppia più famosa del cinema comico americano, che ha appena lasciato il produttore Hal Roach, con cui fino a quel momento aveva condiviso successi e sconfitte, per sbarcare alla 20th Century Fox. Ciao, amici (1941) di Monty Banks non sembrerebbe un cattivo inizio, perché lo spunto della vita militare di due disadattati funziona sempre.

Stan e Ollie si accorgono presto che la casa ha fatto piazza pulita di tutti i vecchi collaboratori di fiducia, con cui erano abituati a lavorare. Stan, cosceneggiatore e codirettore dei propri film, viene estromesso da ogni decisione importante per essere utilizzato solo come interprete. Non è tanto l’umiliazione per la suscettibilità del grande comico, ma anche un duro colpo inflitto alla creatività di attori-autori costretti a pescare nel repertorio delle gag già collaudate invece di tentare strade nuove. Neppure la Fox è entusiasta dei modesti risultati del primo film e gira gli altri cinque in grande economia, con un metraggio di circa un’ora adatto al circuito con doppio programma delle sale periferiche.

SULLA ROULOTTE

Il migliore del periodo è Allegri imbroglioni (1943) di Malcom St. Clair, su sceneggiatura di Scott Darling, finalmente due professionisti con cui la coppia si sente in sintonia. Su una strada deserta, Stanlio e Ollio sono alla guida della loro roulotte, un vecchio catorcio nobilitato dalla scritta «Laurel e Hardy, l’originale orchestra Zoot Svit–Una sinfonia nel guscio di una noce».

Quando restano senza benzina, nessuno si ferma per aiutarli tranne un giovane sorridente che gli mostra l’ottava meraviglia del mondo, una pillola miracolosa che trasforma l’acqua in benzina. Naturalmente, è una truffa ma i due non se ne accorgono fino a che l’imbroglione non tenta di impadronirsi della loro sgangherata orchestra per promuovere la pillola fasulla. Le gag più esilaranti si scatenano quando arrivano nell’albergo di New Orleans, dove alloggiano i gangster. Ollio è impagabile con il cappello da cowboy nel ruolo del colonnello texano dal forte accento del sud, mentre Stanlio è ancora più stralunato del solito nella parte del cameriere personale e factotum.

Hardy fa il galante con «il più bel fiore del giardino delle donne del sud», mentre Laurel è intrappolato sotto il letto. «Colonnello, lei danza divinamente», dice la ragazza. E Ollio: «Sarà lo zingaro che è in me! Baciami, mia piccola colomba». Si capisce subito che Stan è riuscito a inserire numeri e battute del loro miglior repertorio, se si pensa a un dialogo come questo: «Sai, Ollio, stavo pensando». «A che cosa?». «A niente. Stavo pensando». Stan che ha sempre amato travestirsi, è molto divertente nei panni di una vecchia zia bisbetica e impertinente.

LA PARABOLA IN DISCESA

Negli ultimi anni di guerra si consuma fino in fondo la parabola in discesa con un gruppo di film per la Fox come Maestri di ballo (1943), Il grande frastuono (1944), I toreador (1945), tutti e tre firmati da Malcom St. Clair, e uno per la Mgm come Sempre nei guai (1944) di Sam Taylor, nei quali i rari momenti esilaranti si perdono in un guazzabuglio di materiali narrativi inerti, attinti dallo stereotipato magazzino del film di gangster o di guerra, e di sgangherate cadute farsesche senza alcun brillio di novità.

Non bisogna pensare che i due attori non riuscissero più a divertire o fossero particolarmente sfocati. Il fatto è che la comicità richiede la preparazione accurata di un team affiatato, in grado di creare lo spazio giusto per la performance.

Spesso dietro film come questi si moltiplicano gli interventi degli sceneggiatori che riscrivono il lavoro di altri sceneggiatori, pasticciando tutto o suggerendo spunti preziosi che nessuno poi utilizza sul set. Se in sede di scrittura partecipa il grande Buster Keaton, invano si cercherebbe sullo schermo qualche traccia del suo contributo.

LA TRASFERTA ITALO-FRANCESE

L’ultimo appuntamento con il set è Atollo K (1951), una coproduzione italo-francese diretta da Léo Joannon e girata in pieno agosto a Marsiglia e a Cap Roux, vicino a Cannes. Avrebbe dovuto essere una rimpatriata di vecchie glorie della comicità, ma Fernandel e Totò si defilano quasi subito.

Il copione, senza capo né coda, viene totalmente riscritto da Stan con Monty Collins, un veterano della gag. Ma il regista, vestito con casco coloniale e pantaloni da cavallerizzo, è indeciso e incompetente. La sua conoscenza dell’inglese è troppo scarsa per comunicare con gli attori. Stan e Laurel si trovano a fronteggiare da soli le varie situazioni del film, mentre il caldo insopportabile mette a dura prova la loro salute. L’idea di un gruppo di apolidi che si rifugiano in un’isola deserta e si proclamano liberi da leggi, passaporti e tasse, non  era da buttar via se fosse stata trattata con competenza e professionalità.

Nel film, più rocambolesco che comico, succede di tutto, dall’uranio che viene trovato nell’isola alla fondazione dell’utopistico stato senza tasse con Oliver Hardy presidente. Ma le canaglie di tutto il mondo raggiungono l’atollo, abbattono il governo e costruiscono un patibolo per impiccare i protagonisti. Quando l’atollo affonda, i due disgraziati vanno alla deriva sulla piattaforma del patibolo. Saranno salvati, giusto prima della parola “fine”, appena in tempo per consentire a Ollio di lamentarsi: «Ecco che mi hai messo in un altro dei tuoi pasticci» e a Stanlio di piagnucolare: «Non ho potuto farne a meno».

SUCCESSI IN GIRO PER L’EUROPA

Non sono certo finiti e, nonostante i flop degli ultimi film, la loro popolarità è enorme soprattutto in Europa, dove dal ’48 al ’53 fanno alcune trionfali tournée in Gran  Bretagna, Svezia, Danimarca, Belgio, Francia e Italia, per le quali mettono a punto un paio di sketch tratti dalle loro vecchie comiche, scanditi con i tempi giusti e l’acrobatica geometria dei grandi.

Nel momento in cui rimettono piede sul palcoscenico, la partita con il cinema sembra chiusa per sempre, archiviata definitivamente nel museo dell’oblio. Invece la televisione, l’ultima arrivata nello scenario dei media, li riscopre e comincia a riciclare il loro intero repertorio dopo averne acquistato a prezzi stracciati i diritti di diffusione, prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo.

Non ricevono soldi per le loro apparizioni, che sono di esclusiva proprietà delle case di produzione, ma finalmente gli spettatori possono vederli nei loro momenti migliori, recuperando nel giro di qualche anno la grande stagione della trentina di comiche mute e della quarantina di cortometraggi sonori fino ai quindici lungometraggi che nel corso degli anni Trenta hanno contribuito al loro clamoroso successo. Da Muraglie (1931) a I due legionari (1931), da Il compagno B (1932) a Fra Diavolo (1933), da I figli del deserto (1934) a Nel paese delle meraviglie (1934), da Gli allegri eroi (1935) a Noi siamo zingarelli (1936), da Allegri gemelli (1936) a I fanciulli del West (1937), da Avventure a Vallechiara (1938) a Vent’anni dopo (1938), da I diavoli volanti (1939) a Noi siamo le colonne (1940) e C’era una volta un piccolo naviglio (1940).

Se tra i loro registi ci sono alcuni dei grandi maestri del cinema comico americano, come James Parrot, Leo McCarey, Clyde Bruckman, James Horne, non si sfugge facilmente al sospetto della intercambiabilità, perché la coerenza di stile e di invenzione che attraversa questo immenso universo di gag rivela indiscutibilmente il marchio di Stan Laurel. Come avviene per i film di Buster Keaton che, al di là dei nomi dei registi, sono sempre e soprattutto film di Buster Keaton.

SEGRETI DELLA PANTOMIMA

La scuola della pantomima teatrale, assorbita nella compagnia di Fred Karno in cui nello stesso periodo c’è anche Charlie Chaplin, non viene mai dimenticata e, a partire dal ’27 anno di nascita della coppia, è all’origine delle modalità realizzative.

Il metodo preferito di Stan consiste nell’avvicinare quanto più possibile il processo di lavorazione cinematografica alle fasi della messinscena teatrale, fino al paradosso di girare le storie di seguito e di montare il film durante la lavorazione. La genialità di Hal Roach – in cui l’intuizione artistica si accompagna alla convenienza produttiva – consiste nel capire che questo metodo, secondo gli standard tradizionali considerato costoso, è in realtà economico, perché è l’unico che permette all’attore di riprodurre le condizioni indispensabili alla esplosione della sua creatività.

Spesso tagliate, montate con titoli diversi o accorpate in modo nuovo, le riedizioni del “tutto Stanlio e Ollio” rimbalzano nel corso degli anni dalla tv alle videocassette e ai dvd, in una specie moto perpetuo per cui c’è sempre qualche  nuovo titolo se non in mediateca almeno in edicola. Si tratterà pure della effimera immortalità assicurata dal mercato, ma è sempre meglio della supercigliosa diffidenza delle cineteche, incerte tra gli astratti furori della “politique des auteurs” e l’acquisizione onnivora e indiscriminata dei “brutti, sporchi e cattivi” imposta dalla moda.

E POI ARRIVA LA TV

La televisione rappresenta anche l’ultima spiaggia per il rilancio della coppia con la proposta di Hal Roach junior, figlio del loro antico produttore, di realizzare una serie di telefilm a colori di un’ora ciascuno con piena libertà di impostazione delle storie e di elaborazione della sceneggiatura. Firmato l’accordo nel ’54, si mettono in preproduzione le prime quattro “fabulous fables”.

L’inizio non può essere più promettente ma, come avviene nelle storie esilaranti di Stanlio e Ollio, tutto va a rotoli. Solo che questa volta non c’è niente da ridere perché la catastrofe non avviene sullo schermo ma nel palcoscenico della vita.

Alla vigilia del primo giro di manovella, Stan ha un attacco che gli consente appena di camminare con un’andatura claudicante. Il giovane Roach è costretto a rinviare le riprese ma di lì a poco fallisce per bancarotta e Roach senior deve tornare sulla breccia per salvare gli studi e gli investimenti di una vita. Quando Stan si riprende, tocca a Ollie. Soffre da tempo di cuore, ma un nuovo attacco lo rende incapace di muoversi e di parlare. La malattia rende irriconoscibile il Grasso che perde più di quaranta chili e si dispera perché capisce che il sogno di tornare sul set è ormai svanito. Oliver Hardy muore il 7 agosto 1957. Il Magro gli sopravvive otto anni e muore il 23 febbraio 1965, anche lui per un attacco di cuore.

Ora che non ci sono più Hollywood sembra pentirsi di averli snobbati, e cerca di farsi perdonare con un tardivo Oscar alla carriera. Un piccolo miracolo – uno dei suoi miracoli esteticamente discutibili, ma commercialmente redditizi – lo fa all’inizio degli anni Ottanta il vecchio Hal dal cuore di pietra quando sperimenta la colorazione digitale dei film in bianco e nero, riproponendo alle nuove generazioni che ignorano la magia del bianco e nero le comiche di Stanlio e Ollio a colori. Orribili? Curiose? Inaccettabili? Chissà cosa ne avrebbero detto loro di questo inaspettato arcobaleno, mentre se ne vanno nell’ultima luce del tramonto.     

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