Bollywood, il cinema indiano che non conosce crisi

by Michela Conoscitore

L’India si è guadagnata, nel corso degli anni, la fama di luogo spirituale per eccellenza. Se non ci si va per raggiungere il nirvana, si sceglie il paese asiatico per un viaggio diverso, magari in ashram, per un’esperienza trascendentale. Però, pensare di trovare tranquillità e praticare l’ascetismo in un paese che conta più di un miliardo di abitanti, pare davvero difficile.

Come scriveva Pier Paolo Pasolini ne L’odore dell’India del 1974: “Ci si può smarrire in mezzo a questa folla di 400 milioni di anime (…) come in un rebus di cui, con la pazienza, si può venire a capo: sono difficili i particolari”. Sono proprio i particolari che sfuggono nel subcontinente indiano, perché a dispetto della sua fama, l’India è un paese materiale, più di quel che si pensa. La nazione si sta velocemente industrializzando, e occidentalizzando. E per chi ancora non lo sapesse, il paese detiene un primato, davvero molto ‘terreno’: in India si staccano più biglietti per il cinema che nel resto del mondo. Due miliardi quelli venduti ogni anno, gli indiani e il cinema intrattengono un legame molto stretto. E questo legame ha un nome: Bollywood.

Per produzioni e spettatori, il cinema indiano fa impallidire il cugino hollywoodiano ma, come il paese, anche la cinematografia made in Mumbai ha bisogno di essere analizzata. Innanzitutto, partendo dalle lingue parlate nel subcontinente, che conta ben trenta idiomi correntemente usati dalla popolazione. La lingua ufficiale è, ovviamente, l’hindi; a seguire il tamil, il bengalese e il telugu. I film possono essere girati in una di queste lingue, oppure doppiati in seguito ed esportati nelle altre regioni. La cifra caratteristica dei film indiani è la commistione di parti recitate con canzoni e balli, che ne fanno quasi dei musical, e sono definiti masala (una mistura di spezie e sapori della cucina tradizionale indiana). Altra particolarità, in media durano all’incirca tre ore, proprio per questo mix di recitazione e ballo. Inoltre, per quanto il cinema indiano si sia occidentalizzato, una cosa non cambierà mai: non vedrete scene di sesso esplicito. Solo baci casti, e il resto viene lasciato alla fantasia. Questo perché la religione occupa un posto preponderante nella vita degli indiani, a partire dalle caste, vera piaga di questo paese.

Il cinema sbarca in India nel 1896, quando all’hotel Watson dell’allora Bombay furono proiettati i primi cortometraggi dei fratelli Lumiére. Nel 1913, fu prodotto il primo lungometraggio, e da lì gli indiani non si sono più fermati. In un paese in via di sviluppo, dove la connessione internet è considerata un lusso o uno status symbol, soprattutto nelle regioni più arcaiche, Netflix e altre piattaforme streaming non potranno mai conquistare pubblico e soppiantare il cinema. È una richiesta, quindi, molto alta che la cinematografia indiana cerca di soddisfare. L’India vanta ormai studios che possono competere, e a volte superano, quelli losangelini. Il più famoso, nonché il più grande al mondo certificato nel Guinness dei primati, è il Ramoji Film Studios, ad Hydebaraad. Ma ve ne sono altri, sparsi tra Nuova Delhi e Mumbai.

Per quanto i film in hindi non siano di facile comprensione, e quindi non esportabili come quelli occidentali, le produzioni bollywoodiane vantano un numero sempre più crescente di fan in tutto il mondo, includendo i cosiddetti NRI, i non resident indian che, nonostante si trovino all’estero ormai da decenni, rimangono fedeli ai film e alle star del loro paese. Fan club sui social e fisici, film sottotitolati e uno spazio esclusivo, proprio su Netflix, dove poter scoprire il colorato mondo bollywoodiano. Inoltre, l’Italia che da sempre vanta relazioni strette con l’India (Sonia Gandhi è una di quelle), ospita anche un festival dedicato proprio al cinema indiano: è il River to River Festival che viene organizzato a Firenze ogni anno, e nel 2019 è in corso di organizzazione la sua diciottesima edizione, che si terrà dal 5 al 10 dicembre nel capoluogo toscano.

I film di Bollywood hanno comunque guadagnato visibilità internazionale, perché hanno rappresentato spesso il paese in importanti festival cinematografici e premi come gli Oscar. È il caso di film come Devdas e Lagaan, dei veri e propri cult indiani.  Partendo proprio da questi film, è facile fare una panoramica d’insieme sui generi a cui i cineasti di Bollywood sono più affezionati: prevalgono i film sentimentali, che possono essere drammatici o commedie, su cui più spesso l’industria cinematografica sta puntando, ultimamente. Se negli anni Sessanta/Settanta la sincronia di storia d’amore contrastata e lieto fine non ha subito modifiche, almeno fino ai primi anni Novanta, a partire dal 2000 le influenze occidentali hanno iniziato a trasformare le sceneggiature in commedie sentimentali, che negli ultimi anni riescono ad ironizzare anche su tematiche importanti come la procreazione assistita, lo struggente Sairat che denuncia attraverso una storia d’amore l’anacronistica divisione in caste della popolazione indiana, o come il recente Toilet, sulla mancanza di WC nelle case rurali. Per quanto gli script possono strizzare l’occhio agli Stati Uniti, la componente indiana non è mai rinnegata.

Molto amati film a tema storico o mitologico, come Jodhaa Akbar, ma anche film di denuncia sociale, thriller o d’azione come Raees interpretato dal dio di Bollywood, Shah Rukh Khan. Per raccontare la personalità strabordante dell’attore più amato dell’India non basterebbe un articolo. Il trattamento che gli riservano non è molto diverso da quello che qui, in Italia, è riservato al Papa: ogni anno, il giorno del suo compleanno, si affaccia dalla veranda per salutare una folla oceanica che si assiepa nei pressi della sua villa per trascorrere almeno cinque minuti col loro idolo. E ci sono anche quelli che lo raggiungono sul set, per mettergli bimbi in braccio per una sorta di ‘benedizione’. Il sacro e il profano convivono sempre amichevolmente in India.

Khan è riuscito a mettere in ombra anche Amitabh Bachchan, il grande vecchio del cinema di Bollywood, hero dei film anni Settanta e amico intimo di Rajiv Gandhi. I Bachchan sono una delle dinastie di Bollywood, perché effettivamente la settima arte è un dono che gli indiani si trasmettono di padre in figlio, un po’ come, anni fa, fecero ad Hollywood gli Huston. Da ricordare, oltre ai Bachchan, anche la famiglia Kapoor e i Deol. Spazio anche per altri talenti, che si sono affermati in modo diverso: la più famosa è sicuramente l’attrice Aishwarya Rai Bachchan, vera stella dei film contemporanei indiani, affermata ormai anche a livello internazionale. Se prima faceva ‘coppia fissa’ con l’amata Kajol, le due scoperte recenti di Shah Rukh Khan, lanciate in film campioni di incasso al botteghino come Om Shanti Om e Rab ne bana di jodi, sono Deepika Padukone e Anushka Sharma.

Come riportato dal filosofo Arthur Schopenhauer, gli antichi spettacoli in India si concludevano con questa frase: “Possano tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore”. Questo augurio rimane intatto anche nei film moderni, perché per quanto possa essere difficile approcciarsi a film in una lingua molto diversa da quelle europee, rimanere affascinati poi dall’India, e dal suo cinema, è un attimo. Vi sarete assicurati un anti-depressivo senza controindicazioni. 

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