Grace Kelly, ghiaccio bollente

by Orio Caldiron

Sembra un paradosso, ma l’evento che consacra Grace Kelly come diva è la sontuosa cerimonia del suo matrimonio con il principe Ranieri nella cattedrale di San Nicola di Monaco il 19 aprile 1956.

Nel suo abito di seta bianca e merletti, con il velo tempestato di perle sul capo, va verso l’altare davanti alle cineprese della Metro-Goldwyn-Mayer, che si è assicurata l’esclusiva dell’avvenimento per trasmetterlo in tutto il mondo nello speciale tv seguito da milioni di spettatori.

Nella crisi interna del cinema americano, pronto a privilegiare i mercati stranieri, c’è chi vede nella favola dell’attrice che lascia lo schermo per il trono il passaggio di testimone tra Hollywood e l’Europa, se non addirittura l’intesa tra la californiana fabbrica dei sogni e la vetrina europea, destinata a diventare nei prossimi decenni l’affollato crocevia del jet set internazionale.

Non sono strepitosi gli inizi della figlia della ricca borghesia di Philadelphia – dove era nata il 12 novembre 1929 – che si trasferisce giovanissima a New York per studiare recitazione, mentre sfila come mannequin nelle passerelle dell’alta moda. Se il suo debutto a Broadway non lascia il segno, va meglio con la televisione in ascesa, sempre alla ricerca di volti nuovi. Si affaccia finalmente al cinema in Mezzogiorno di fuoco (1952), un classico del western firmato Fred Zinnemann, in cui con una buffa cuffietta da quacchera sposa lo sceriffo Gary Cooper – lui più di cinquanta, lei ventidue – nel suo ultimo giorno di servizio, giusto prima di venire a sapere che con il treno di mezzogiorno arriverà il feroce fuorilegge, arrestato anni prima. Nella giungla rifatta in studio di Mogambo (1953) di John Ford le tocca la parte dell’inglesina, repressa ma appassionata, coinvolta in un match impossibile con l’esplosiva Ava Gardner davanti allo sguardo sornione di Clark Gable, che tifa per Ava.

Solo con La ragazza di campagna (1954), il melodramma d’ambiente teatrale di George Seaton, occhiali e pettinatura anti-glamour, si laurea attrice e ottiene l’Oscar, interpretando la moglie iperprotettiva di Bing Crosby che tornerà dal marito dopo la tempestosa storia d’amore con William Holden. Si rifà almeno in parte in I ponti di Toko-Ri (1954) di Mark Robson, dove è la moglie di William Holden, il pilota di jet impegnato nella guerra di Corea, ma con lui vive soltanto la breve licenza che precede l’ultima, sfortunata missione.

Prima di lasciare Hollywood per il Principato impersona in Il cigno (1956) di Charles Vidor la principessa del paese mitteleuropeo, innamorata dell’istitutore Louis Jourdan ma obbligata dalla ragion di stato a sposare il cugino Alec Guinness. Il suo ultimo film è Alta società (1956), il quasi musical di Charles Walters, dove sta ancora una volta per sposare l’uomo sbagliato ma si accorge in tempo dell’errore. Contagiata dal clima di tenerezza diffuso nell’aria dal festival del jazz di Newport, scommette sulla propria felicità fino a accennare qualche nota di “True Love” con Bing Crosby. Un’apparizione folgorante? Sì, almeno secondo Jacques Lourcelles, che vi vede addirittura «una sensibilità e un tipo di recitazione vicine a Greta Garbo con più sensualità nella freddezza e minore autorità nell’eleganza».

Il delitto perfetto

Nella sua breve carriera cinematografica, l’incontro con Alfred Hitchcock era stato fondamentale. Il delitto perfetto (1954) – Grace vi interpreta la moglie ricca di cui l’ex-campione di tennis Ray Milland vorrebbe sbarazzarsi – è la prova generale del rapporto privilegiato tra il maestro del brivido e l’avvenente attrice, che gli è affine per l’educazione cattolica e il senso dell’humour. Sull’abbigliamento non esita a contraddire il maestro che punta sulla scelta dei colori dei vestiti, degli oggetti e degli arredi per drammatizzare l’atmosfera claustrofobica del film girato tutto in interni. Se accetta il rito del guardaroba che lui sceglie di persona per le sue protagoniste, rifiuta subito la vestaglia di velluto rosso che dovrebbe indossare per rispondere al telefono nel cuore della notte nella scena in cui la suspense è al massimo. Meglio non mettere niente e restare in camicia da notte trasparente. Hitch è d’accordo e le dà carta bianca, perché così sembra più vulnerabile e insieme acuisce l’erotismo conturbante della reazione al tentato omicidio. Sarà Grace che con la costumista Edith Head si divertirà anche nei prossimi film a scegliere vestiti e accessori, senza mai perdere di vista le novità parigine.

La finestra sul cortile

«Siamo diventati una razza di guardoni» dice all’inizio di La finestra sul cortile (1954) Thelma Ritter, l’infermiera che ogni giorno va a massaggiare la schiena di Jimmy Stewart-Jeff, il fotoreporter immobilizzato nell’appartamento newyorchese con una gamba ingessata, assillato dalla bellissima Grace Kelly-Lisa, che approfitta della sua infermità passeggera per tentare di imporgli il suo sogno di matrimonio borghese.

Il capolavoro del voyeurismo hitchcockiano è lo strepitoso film sul cinema che tutti sappiamo, ma è anche, come ha scritto François Truffaut, «il film dell’indiscrezione, dell’intimità violata, della felicità impossibile, della biancheria sporca che si lava in cortile, della solitudine morale, una straordinaria sinfonia della vita quotidiana e dei sogni distrutti». Se lui passa le giornate a spiare i vicini di casa, lei combatte la sua battaglia sul fronte interno con le armi sofisticate di Park Avenue. Organizza la cena catering con il ristorante più “in” del momento. Sfoggia costosi abiti esclusivi, eleganti ventiquattrore nere, seducenti négligé in seta. Non perde occasione per alludere al matrimonio, rispondendo alle obiezioni di lui che la considera troppo perfetta per un fotoreporter d’assalto sempre in giro per il mondo. La vita di coppia è del resto al centro della varia umanità che si affaccia negli appartamenti del caseggiato di fronte. Sembra più interessante delle altre la finestra dietro la quale marito e moglie litigano in continuazione. Quando la donna improvvisamente scompare, si convincono che il marito l’abbia uccisa. Ma le prove? Lisa si introduce nell’appartamento e trova la fede della moglie. Si mette la fede al dito e fa in modo che dall’altra parte del cortile Jeff la veda con il suo binocolo. Il romance e il thriller si saldano perfettamente nella doppia vittoria di Lisa che risolve il caso e riesce a farsi sposare, ha già “l’anello al dito”.

Grace Kelly, Cary Grant e Alfred Hitchcock sul set

Sin da una delle prime sequenze di Caccia al ladro (1955) – quella del bacio silenzioso di Grace Kelly, dritto sulla bocca di un attonito Cary Grant, con il quale non era ancora arrivata al tu – la sintonia tra il regista e la sua attrice è ormai assoluta. Come confermano i dialoghi maliziosi, pieni di giochi di parole e doppisensi sessuali, che fanno del film uno dei più audaci degli anni cinquanta. Si capisce che è scattata la complicità. Le foto del set dei loro tre film sono eloquenti. Soprattutto quelle in cui Hitch, in un enorme doppiopetto, ha appena perso venti chili, sfoglia con lei la sceneggiatura di Il delitto perfetto. O con aria protettiva controlla una delle prime scene dei protagonisti appostati alla Finestra sul cortile. O quando giocano come ragazzini davanti alla torta gigantesca del ballo in maschera di Caccia al ladro, per il quale le ha imposto un vistoso costume dorato. O quando, parlando con il regista, lei esplode in una radiosa risata. Ma c’è dell’altro. Per lui Grace è l’incarnazione di un sogno. Neppure tanto segreto se l’ha sempre inseguito nelle sue bionde, da Madeleine Carroll a Ingrid Bergman, da Kim Novak a Eva Marie Saint, da Tippi Hedren a Vera Miles, ma in nessun’altra la coincidenza è così perfetta, così vicine la fantasia e la realtà. Si direbbe che a Grace venga naturale stare al gioco. O assecondi l’intesa, dia corpo al fantasma perché – bellissima ma misteriosa, fredda ma sensibile, altera ma vibrante – Ghiaccio Bollente è proprio lei. Se ne andrà il 14 settembre 1982 in un incidente mortale nei tornanti la Moyenne Corniche sopra Montecarlo, dove in Caccia al ladro aveva sfrecciato a folle velocità.

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