Hanna Schygulla e gli aneliti di libertà di una icona che aveva bisogno di disordine

by Orio Caldiron

Nessuna più di Hanna Schygulla – l’icona del nuovo cinema tedesco degli anni settanta dal fisico esile, gli occhi chiari, il volto irregolare, lo sguardo enigmatico – rifugge l’identificazione con il personaggio, privilegiando la recitazione secca, ironica, distaccata ma di grande magnetismo. Nasce il 25 dicembre 1943 a Katowice durante l‘occupazione nazista della Polonia. Solo nel dopoguerra la sua famiglia si riunisce a Monaco di Baviera, dove studierà fino alle superiori. Si iscrive poi all’università per diventare insegnante, ma frequenta anche la scuola d’arte drammatica dove incontra Rainer Werner Fassbinder con il quale condivide le provocazioni dell’Antiteater, l’aggressivo gruppo off di cui sono tra i fondatori: “Eravamo due animali solitari, con gran bisogno di disordine, con una grande esuberanza”.

Sullo schermo si fa notare in L’ amore è più freddo della morte (1969) che, tra atmosfere da noir americano e omaggi alla nouvelle vague, inaugura la prima stagione del cinema di Fassbinder in cui è la presenza più ricorrente. Il sodalizio continua con Le lacrime amare di Petra von Kant (1972), il melodramma claustrofobico dove incarna la sensualità proletaria alle prese con i gelidi meccanismi del potere borghese. Se gli sceneggiati tv le assicurano la popolarità, la prima affermazione di interprete arriva solo con Effi Briest (1974), ancora di Fassbinder dal romanzo di Theodor Fontane. Nell’intenso ritratto d’ epoca, gli aneliti di libertà della eroina sono soffocati dal clima opprimente della società maschilista di fine Ottocento in cui è imprigionata. Il successo del film coincide con la crisi personale dell’attrice che sembra non riconoscersi più nella sua immagine cinematografica. È in questo periodo che riprende gli studi fino alla laurea, viaggia in Europa e negli Stati Uniti, ritorna al teatro.

Quando riprende il rapporto con il cineasta che l’ha lanciata, Il matrimonio di Maria Braun (1979) segna la sua consacrazione internazionale grazie alla figura della sposa di guerra che fa il mercato nero e l’entraîneuse in un dancing per americani fino a diventare una ricca donna d’affari. Coraggiosa, risoluta, egoista, pronta a ogni compromesso, raffigura in tutta la sua ambiguità il trauma della ricostruzione della Germania alle soglie del boom economico. Negli ultimi appuntamenti con il regista tedesco, il piccolo ruolo di Berlin Alexanderplatz (1980) si perde nei ritmi torrenziali del serial televisivo, mentre il controverso Lili Marleen (1981), sulla vita della cantante Lale Andersen, esaspera il protagonismo dell’attrice a scapito dello sfondo storico nel segno del divismo dell’antidiva.

Sono numerose le partecipazioni al cinema d’autore europeo, tra cui L’inganno (1981) di Volker Schlöndorff, Passion (1982) di Jean-Luc Godard, Storia di Piera (1983) di Marco Ferreri. Ma l’apparizione più memorabile è quella di Il mondo nuovo (1982) di Ettore Scola nei panni della contessa austriaca in fuga che al decrepito Giacomo Casanova, uno splendido Mastroianni, confessa che è stato il primo amore della sua vita.

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