Il cinema e la Resistenza: i documentari dimenticati

by Daniela Tonti

Giorni di gloria è un documentario realizzato all’indomani della guerra con la rabbia in corpo ancora fortissima da Luchino Visconti, Giuseppe De Santis, Marcello Pagliero e Mario Serandrei.

Il documentario del 1945 è stato definito il primo esempio di fusione tra le tematiche della Resistenza, il cinema neorealista, la lettura antifascista e le urgenze politiche sociali del dopoguerra.

Giorni di gloria nasce per dare fiducia alle migliaia di partigiani che avevano rischiato la vita per la rivoluzione, rendere omaggio alle famiglie che avevano guadagnato dalla guerra solo lutti e sofferenza e trasformare i giorni dell’ira in giorni di gloria e segna il punto di avvicinamento massimo tra il cinema documentario e la finzione neorealista, dalla scelta dei materiali, all’angolazione delle inquadrature, all’insistenza sui primi piani, alla fusione tra la razionalità e l’emozione.

L’arco di tempo preso in considerazione è quello delle lotte di liberazione partigiane e il periodo immediatamente successivo. I ruoli furono divisi: Marcello Pagliero girò le sconvolgenti immagini del ritrovamento dei 335 cadaveri delle Fosse Areatine; Luchino Visconti presenziò il processo a Pietro Caruso, il linciaggio di Carretta e le fucilazioni di Caruso e del famigerato Pietro Koch; De Santis girò le scene di guerriglia partigiana e Serandrei si occupò di montare tutto il materiale.

È miglior documentario realizzato nel dopoguerra, prima del vuoto resistenziale dal 1948 al 1953. Gli spettatori cercavano immagini del racconto del loro dolore che era quello dei poveri e dei disoccupati.

Dal 1945 al 1948 vengono realizzati infatti una serie di documentari disomogenei da Fascisti alla sbarra (1945), a l’Italia s’è desta (1946) di Domenico Paolella a L’abbazia eroica (1946) di Ugo Fasano. Ma Giorni di gloria resta l’opera più rappresentativa di un’epoca.

Nonostante le lodi ricevute non venne mai proiettato nei normali circuiti cinematografici, la ragione del divieto sembra da attribuirsi alle autorità americane che non volevano dare evidenza al ruolo dei partigiani nella guerra di liberazione.

A tutti coloro che in Italia hanno sofferto e combattuto l’oppressione nazifascista è dedicato questo film di lotta partigiana e di rinascita nazionale.

La dedica di Giorni di Gloria

Nella lotta e nella rinascita è racchiuso il senso di un film che è un’opera militante e insieme una rievocazione del passato con il suo tragico carico di orrori e violenze. La prima parte del documentario è centrata sui rastrellamenti nazifascisti contro i partigiani e il montaggio alterna immagini con fotografie allargando al massimo possibile il campo della documentazione.

La seconda parte invece si apre con l’evocazione dell’agguato a Via Rasella e con la strage delle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944.

Ciò che qui è narrato è realmente accaduto; niente è accaduto così come qui è narrato.

J.W.Goethe

Dal 1948 al 1953 di Resistenza non si parla. Il cinema di finzione andrà ben oltre il 1953 mentre il documentario riprende le fila del discorso grazie a Cesare Zavattini che sosterrà la realizzazione di un documentario sulle lettere dei condannati a morte della Resistenza.

Lettere dei condannati a morte della Resistenza è tratto dall’omonima raccolta pubblicata a cura di Pirelli e Malvezzi per Einaudi nel 1952. Il libro ebbe un enorme successo commerciale ma le difficoltà realizzative non furono poche. Gli autori del libro per primi non erano convinti dell’operazione tant’è che pretesero l’accreditamento nei titoli di Zavattini nonostante l’onere economico fosse tutto di Fausto Fornari che investì in questo documentario tutti i suoi risparmi.

Il film ottenne il premio governativo del 3% e fu presentato a Venezia nel 1954 dove ottenne un successo incredibile. Il vero scoglio furono i noleggiatori “Nessuno fra venti e più noleggiatori ebbe il coraggio di acquistarlo e metterlo in distribuzione”, commentò amareggiato il regista.

E Lettere dei condannati a morte… non fu mai proiettato nei circuito commerciali con grande delusione dell’autore. Un’opera praticamente invisibile per quarant’anni e il suo sogno di toccare la memoria dei giovani rimase, appunto, un sogno. Nell’epilogo di quest’opera stupenda Fornari raccoglie le voci, anonime, perché è la sofferenza di un intero popolo a ricordarci che si deve sempre e comunque sapere, volerne sapere, come dirà anche Alain Resnais solo due anni dopo.

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