L’eleganza del melodramma nel cinema di Pedro Almodovar

by Giuseppe Procino

Con “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” e “Legami” si apre una nuova fase in cui lo stile di Pedro Almodovar acquisisce una forma più definita: la tecnica si perfeziona, le situazioni, le tematiche tanto care al regista diventano più di facile accesso per il grande pubblico. Quello che prima appariva come eccessivo, ora diventa interessante.

Lo confermano “Tacchi a Spillo”, la pellicola successiva del 1991, un melodramma dalle tinte noir, che fonde il Bergman di “Racconto d’Autunno” con l’universo almodovariano, (un travagliato rapporto madre-figlia, un omicidio e un giudice (interpretato da Miguel Bosè) che di notte si trasforma in drag queen) e “Kika” un omaggio grottesco e molto personale ai grandi classici del giallo condito con una cattivissima critica alla tv verità. I caratteri distintivi del cinema del regista ci sono tutti: la fotografia caldissima, i personaggi, gli omaggi musicali al passato e persisteranno anche nelle sue pellicole successive.

L’estetica del cinema di Almodovar diventa un elemento riconoscibilissimo, la nuova onda di cineasti europei guarda a lui come un modello da imitare. Almodovar non ha mai peccato di mancanza di coerenza narrativa, il suo stile non è mai cambiato, ma è maturato, si è evoluto.

L’universo almodovariano, la Spagna che lui racconta, è una monade, un mondo quasi irreale ma riconoscibilissimo per chi ne ha seguito la filmografia dal principio. El Deseo, la casa di produzione che Pedro ha fondato nel 1985 assieme a suo fratello Augustin traccia i confini delle possibilità del reale, un mondo in cui la società è un collage riuscito e in cui la diversità di genere non è mai raccontata come un universo chiuso e a se stante (tranne che nel caso de “La mala educacion”).

Il mondo di Pedro Almodovar è un luogo in cui vige la condivisione. In “Pepi, Luci Bom e le altre ragazze del mucchio” e “Labirinto di passioni” ad esempio, fonde la scena punk con l’universo Lgbt creando, di fatto, un sistema libero in cui tutti possono sentirsi accolti. L’essere umano è raccontato con le proprie fragilità, le proprie debolezze, soggetto quindi all’errore che spesso deve riparare. La violenza, quando irrompe, ha sempre dall’altro lato il contrappeso dell’unione, delle relazioni umane vissute come rifugio sicuro, la compattezza dei sentimenti.  Non esistono i buoni o i cattivi nel cinema del grande Pedro, ogni personaggio è frutto del non detto, delle esperienze positive o dei traumi che ha vissuto. L’eleganza del suo melodramma sta nella capacità di smascherare questo non detto con estrema grazia.

Da “Il fiore del mio segreto” del 1995 sino a “Volver” l’esistenza di un universo alternativo alla realtà si palesa in maniera esplicita, collegando tra di loro le pellicole con trovate di scrittura assolutamente spiazzanti. Nel film del 1995 esistono i riferimenti al futuro o forse a quello che sta già accadendo in questa realtà parallela. Marisa Paredes interpreta Leo, una scrittrice di romanzi rosa che usa lo pseudonimo di Amanda Gris per rimanere nell’anonimato. La vita di Leo è un completo disastro, la relazione con il suo compagno (un militare di alto rango impegnato in una fantomatica guerra) sta naufragando e un contratto con una casa editrice le impedisce di scrivere di altri generi.  Per distruggere il suo alter ego, Leo, che sta già scrivendo di altri generi, inizia a recensire in maniera negativa i suoi stessi romanzi per un’importante testata. Sullo sfondo, la back story: qualcuno si appropria di un suo racconto. La trama di questo racconto, che diviene la sceneggiatura del film The Freezer, diventerà nel nostro mondo, dieci anni più tardi, la base del film “Volver”.

Sempre ne “Il fiore del mio segreto”, compare una scena in cui degli studenti di medicina si “allenano” a persuadere una madre in lutto a consentire il trapianto degli organi di suo figlio. Questa sequenza sarà invece il punto di partenza del film “Tutto su mia madre”, del 1999. È la vita che imita l’arte ma anche l’arte che imita la vita all’interno di questo spaccato di narrazioni in cui, ormai palesemente, nulla è slegato. Ancora, in “Parla con lei”, film del 2002, durante un’esibizione di Caetano Veloso è possibile vedere Marisa Paredes e Victoria Abril, le protagoniste di “Tutto su mia madre”. Con queste quattro pellicole l’immagine per Almodovar si sveste definitivamente dell’irriverenza e diventa poesia, viaggio esistenziale nelle vite degli altri, un volo leggiadro ma non leggero. 

Le battute sboccate persistono ma sono lontani gli intenti provocatori della giovinezza, ora le parole mostrano alla perfezione caratteri e profili dei personaggi. Sono le quattro pellicole della perfezione, racconti intimissimi in cui emergono tematiche importanti. Non sono le storie a creare i personaggi ma bensì i personaggi a generare le narrazioni. In quest’universo narrativo ancora una volta e in maniera prepotente emergono le donne (fatta eccezione per “Parla con lei”). Sì, le donne, celebrate come non mai nella filmografia del regista. Ogni personaggio è un colpo al cuore, un’ipnotica somma di dettagli e spiriti contrastanti. Sono psicologie affascinanti, realistiche nell’affrontare realtà al limite del credibile ma che funzionano nel contesto narrativo grazie alla grandissima sensibilità e alla cura meticolosa nel racconto che Almodovar ci mette.

Dopo essere stato più volte accusato di misoginia, il regista dimostra al mondo intero quello che i fan della prima ora hanno sempre riconosciuto: un amore sconfinato per l’essere femminile, infarcito di musica, personaggi del mito cinematografico, tutto quello che ha creato il suo immaginario. I film di Almodovar diventano così opere enciclopediche della cultura pop, in cui convergono tutte le influenze e le suggestioni che hanno formato l’autore. Sono anche (spesso) storie sull’amicizia, sui sentimenti e sull’importanza degli affetti. Ancora una volta nessuno è realmente solo. Il cinema del regista non è mai stato così in stato di grazia.

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