L’empatia di Elwood e il mondo distante del coniglio Harvey, amico invisibile

by Giuseppe Procino

Elwood ha quaranta anni e come migliore amico ha un pacifico coniglio invisibile alto 192 centimetri. Questa sua amicizia non sembra avere delle conseguenze drammatiche, anzi aiuta il nostro protagonista a condurre una vita serena e soprattutto a esprimere la sua attitudine socievole e amabile.

Sua sorella e sua nipote però non riescono a comprendere né tanto meno ad accettare il comportamento di Elwood, soprattutto perché oggetto di scherno e causa di esclusione da parte della società borghese di cui le due donne vorrebbero far parte. L’unica soluzione è far rinchiudere Elwood in una clinica psichiatrica, ma quali problemi crea davvero l’amicizia con un coniglio invisibile e dove finisce la fantasia e comincia la realtà?

Tratto da una piece teatrale di Mary Chase, vincitrice del premio Pulitzer nel 1945 e continuamente portata in scena in tutto il mondo sino a oggi, la versione cinematografica di Harvey continua a mantenere a distanza di settant’anni tutta la sua freschezza e capacità narrativa. Scritto per lo schermo dalla stessa Chase assieme a Oscar Brodney, la trasposizione in celluloide del ‘coniglio invisibile’ esalta la sua natura di commedia degli equivoci facendo emergere con efficace brio la sua anima riflessiva. Il mondo di Harvey non è un mondo distante dal nostro, ma è un universo in cui la diversità, e nello specifico la patologia mentale, viene vista come errore del sistema da normalizzare. È qui che la pellicola di Henry Koster riesce a stupire, perché decide di raccontare con funzionale leggerezza l’altra faccia della normalità, fatta di medicinali, cliniche e annientamento dell’immaginazione. La gentilezza di Elwood è una qualità che imbarazza chi non è in grado di esprimerla, contaminata dal sospetto dell’ombra dell’alcolismo. La pellicola, girata in quell’America dominata dalla caccia alle streghe lanciata dal Maccartismo, così conservatrice da portare qualche anno più tardi Bettie Page in tribunale per delle fotografie considerate pornografiche, conservatrice e ultra cattolica, ha il coraggio di lanciare il cuore al di là dell’ostacolo con poetica ironia. 

A dominare la scena troviamo James Stewart, in una memorabile interpretazione da pelle d’oca, e Josephine Hull, che per questo ruolo si conquisterà un oscar come migliore attrice non protagonista. Entrambi avevano già ricoperto gli stessi ruoli sui palchi di Broadway, il primo nel 1947 e la Hull nel 1944.

Divertente, profonda, delicata e assolutamente di culto, citata e omaggiata in tantissimi film (su tutti “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”), la pellicola di Koster rappresenta un classico imprescindibile, più di una semplice commedia per famiglie, un film che cerca di ergersi a riflessione pacificatrice sulla società, senza essere troppo didascalico e dosando bene commedia, dramma e fantastico. Elwood, grazie ad Harvey, non solo è felice, ma riesce a creare con la gente un rapporto speciale, empatico, in grado di comprendere a fondo la natura dell’essere umano. È questo il vero potere di questo bizzarro personaggio invisibile, la capacità di comprendere – più di uno psicologo – l’uomo attraverso l’ascolto. Memorabile la sequenza in cui James Stewart e il direttore della clinica psichiatrica si confrontano a porte chiuse ribaltando i ruoli tra dottore e paziente.

L’universo di Elwood fatto di anime solitarie ma sorridenti, che popolano i bar in cerca d’una parola amica, si contrappone al grottesco mondo della borghesia, fatto di cantanti liriche sui generis, formalità e stressanti ritmi e in cui nessuno è veramente libero. Harvey diviene così spirito guida, psicanalisi efficace per l’autocomprensione e la ricerca della serenità, sguardo invisibile ed efficace, capace proprio per questo di oltrepassare lo schermo in una dimensione nuova.

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