L’adolescenza, questa sconosciuta. Ma il film “Red” della Disney-Pixar ci aiuta ad uscirne vivi

by Germana Zappatore

iLa prima regola nella mia famiglia? Onora i tuoi genitori. Gli esseri supremi che ti hanno donato la vita e hanno fatto rinunce e sacrifici per garantirti un tetto e del cibo in tavola, una mega valanga di cibo. Il minimo che tu possa fare è assecondare ogni loro richiesta. Ma attenzione: onorare i genitori è giusto, però se esageri poi dimentichi di onorare te stessa”.

(Dal film “Red”)

Essere adolescenti non è facile, non lo è mai stato. È quella fase della vita in cui pensiamo di poter tutto, di avere il mondo in pugno. È il momento in cui prendiamo a morsi la vita per provarne il sapore. È un continuo altalenare fra il bisogno di rassicurazione tipico dell’infanzia e la voglia di libertà. Insomma, l’adolescenza è una vera e propria battaglia che può lasciare feriti sul campo. Tuttavia se ne può uscire vivi (anche se con qualche graffio) come ci spiega “Red”, il nuovo lungometraggio targato Disney-Pixar, uscito lo scorso undici marzo.

Film “femminista” che non teme di parlare esplicitamente di ciclo e che vanta presenze rosa nei ruoli chiave della produzione (sono donne la regista Domee Shi, il produttore Lindsey Collins, il supervisore degli effetti visivi Danielle Feinberg e la scenografa Rona Liu), racconta la storia di Mei-Lee, ragazzina di tredici anni, figlia di emigrati cinesi che vivono a Toronto. La ragazzina ha tre amiche del cuore, ama la musica pop e pur essendo “ufficialmente adulta, almeno per i trasporti pubblici”, resta ancora “l’impeccabile Mei” tutta casa e famiglia, secchiona a scuola e ligia al dovere di assistente custode del Tempio di famiglia.

La sua vita scorre tranquilla fino al giorno in cui scopre sulla sua pelle che con l’arrivo dell’adolescenza tutte le donne della famiglia si trasformano in un gigantesco panda rosso ogni volta che provano un’emozione forte. Si tratta dell’ingombrante eredità lasciata dall’antenata Sun Yee che aveva chiesto agli Dei di trasformarla in un gigantesco panda rosso per proteggere la sua famiglia dall’attacco dei banditi. Ma se per lei che viveva nell’antica Cina si era trattato di una benedizione, per le sue discendenti ormai cittadine occidentali quella era diventata una vera e propria maledizione che metteva a dura prova relazioni sociali e rapporti familiari.

Il panda rosso, infatti, in questo film rappresenta la pubertà con il suo bagaglio di emozioni nuove, forti e contrastanti, con la ricerca dell’indipendenza e del proprio posto nel mondo.

“Il problema di Mei – ha spiegato la regista Domee Shi (nota per il corto BAO vincitore del premio Oscar e di cui ha ripreso temi e situazioni) – nasce dal conflitto tra la dolce Mei della mamma e la Mei che mostra la bestia selvaggia che è in lei. È il dilemma universale che attanaglia molte ragazzine e in particolare quelle immigrate. Senti il dovere di rispettare le tradizioni di famiglia e di dimostrare ai tuoi che i sacrifici fatti per emigrare non sono stati vani, ma allo stesso tempo vivi in nuovo paese e scopri un sacco di cose pazzesche e meravigliose che i tuoi genitori non conoscono. Praticamente sei divisa tra due mondi. Ecco, era anche questo il tema che volevo affrontare”.

E difatti nel lungometraggio Mei si trasforma nel gigante rosso quando prova vergogna per la ramanzina che la madre Ming fa al ragazzo del market (per il quale la tredicenne ha una cotta inconscia) e quando la genitrice le porta a scuola gli assorbenti facendoli vedere a tutti, ma anche quando si arrabbia perché i compagni la prendono in giro o se è estremamente felice. All’inizio questa novità si ripercuote negativamente sulla sua vita: la ragazzina si vede come “un orribile mostro rosso” e puzzolente. Ma quando intuisce che può trasformarsi a comando semplicemente controllando le emozioni, la sua esistenza prende una bella piega inaspettata: sfruttando la simpatia e la popolarità che per una serie di eventi l’enorme mammifero si è conquistato a scuola grazie al suo aspetto “coccoloso”, Mei e le sue amiche del cuore si inventano un merchandising (foto, gadget, intrattenimento alle feste) per racimolare i soldi necessari per andare a vedere la loro pop-band preferita. Il tutto all’insaputa di mamma Ming che non vuole che la figlia vada al concerto di quei “furfanti glitterati dalle movenze sinuose”.

Ma è davvero così facile tenere sotto controllo la tempesta emotiva adolescenziale? Ovviamente no, e Mei lo scopre nel momento in cui apprende che la data del tanto atteso concerto coincide con la Notte della Luna Rossa, ovvero la notte in cui grazie ad un rito magico potrà liberarsi per sempre del panda: non riuscendo a contenere rabbia e frustrazione, aggredisce un compagno di classe. Convinta che il panda sia solo “la bestia da bandire per dare luce all’io interiore” come le ha detto l’arcigna nonna, la tredicenne abbandona le amiche e i sogni di “cambiare il mondo” per ritornare ad essere “orgoglio e gioia” di mamma e papà, e avviarsi al rito liberatorio.

Ma l’adolescenza si sa, è una fase della vita indispensabile per diventare adulti, e Mei se ne rende conto proprio nel bel mezzo del rituale, quando le ritornano in mente i momenti felici vissuti proprio da panda. Complici anche le parole pronunciate dal padre poco prima: “Abbiamo tutti delle sfaccettature con aspetti a volte complicati, e l’obiettivo non è nascondere il lato negativo, ma trovargli posto e conviverci”. A questo punto la protagonista prende la sua decisione: il panda resta con lei. E scappa per raggiungere le amiche al concerto. Tuttavia la risoluzione dei conflitti non è ancora completa. Resta da sciogliere il nodo più intricato, ovvero quello del rapporto con la mamma-chioccia.

Nello scontro/incontro finale (che le vede entrambe prima in versione panda rosso, poi in quella di adolescenti), madre e figlia si incolpano, si rinfacciano sbagli, confessano bisogni e mostrano le ferite. Alla fine è chiaro che Mei ha ancora bisogno del panda rosso perché deve innamorarsi e fare quello che fanno le sue coetanee occidentali, mentre Ming se ne deve disfare per liberarsi definitivamente dal ruolo di figlia perfetta, ma mai all’altezza delle aspettative della madre in cui è ancora ingabbiata. Fatti e risolti i conti con il presente e il passato, finalmente torna la serenità in famiglia. Una serenità che, per dirla con le parole della regista, non è altro che “uno scombinato mix tra l’essere fedeli a se stessi e l’onorare i propri genitori” dove l’essere fedeli a se stessi significa – come dice Mei alla fine della storia – mostrare “la nostra bestia interiore, un lato incasinato, chiassoso e strambo che teniamo nascosto”. Ed ecco la ricetta per sopravvivere alla pubertà.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.