A Venezia, da cinefili e per i film scomodi. Pronostici per il Leone d’oro: Joker. Tutti i premi

by Tommaso Campagna

Ci sono due tipologie di spettatori cinematografici. 

Persone che vanno al cinema per divagarsi, per porre un freno al metronomo della propria esistenza, troppo spesso frenetica e inconcludente, che desiderano sognare a occhi aperti, con la speranza però che non si tratti di incubi, altrimenti escono dalle sale. 

E poi ci sono quelli che sposano il pensiero di Lars von Trier: i film devono essere ‘scomodi’, come quando ti entra un sassolino nella scarpa e non puoi togliertelo. Ti devono infastidire, financo disturbare, ma una cosa è certa: ti muovono all’azione. Non puoi restare indifferente. Ti indignano, ti smuovono gli intestini, ti spingono anche a non guardare ma, in parte, anche solo in piccolissima parte, ti hanno cambiato. Non ne sei consapevole, forse, ma l’hanno fatto. Non sei più quello di prima.

Perché i film, come scrisse Fassbinder, aprono la mente. 

Ecco, gli spettatori di un festival sono questi ultimi. Sono tutti coloro che non vogliono sognare, che odiano il lieto fine, perché la vita vera (di cui il Cinema è un riflesso o un two-way mirror, un falso specchio come ci ha insegnato Orson Welles e come si chiama l’operazione spionistica del film cinese in concorso di Lou Ye, “Lanxin Dajuyuan” con una sempre magnifica Gong Li) riserva esiti felici con il lanternino. 

Spettatori che vogliono conoscere. E il Cinema offre un’occasione unica per conoscere popoli, luoghi, culture, idiomi, a volte lontanissimi, al solo costo di un biglietto o di un accredito. 

Sono stati tanti, tantissimi, gli accrediti dati quest’anno a produttori, distributori, registi, attori, studiosi di cinema nelle università, esercenti, operatori di associazioni culturali cinematografiche, studenti universitari. Si dice circa diecimila. 

Sale (tra Palabiennale, Sala Darsena, Sala Grande, Sale Volpi e Pasinetti, Sala Giardino, vi sono circa 6000 posti a sedere) sempre affollatissime. 

La gestione Baratta/Barbera è probabilmente al suo ultimo atto. Il prossimo anno, se non vi saranno modifiche statutarie, Baratta dovrà lasciare e l’anno successivo toccherà a Barbera. 

Gestione che ha portato Venezia ad essere probabilmente il miglior festival del Mondo. Sono ormai due anni che il Leone d’oro vince anche l’Academy Award (è accaduto con la “Forma dell’acqua” e con “Roma”). Ciò non è certo garanzia di qualità, ma ha comunque il suo significato. 

I film in concorso sono stati tutti di ottimo livello, alcuni di eccezionale livello (i film di Polanski, Phillips, Baumbach e Soderbergh su tutti). 

Anche la sezione Orizzonti, tradizionalmente la più interessante per i cinefili, con film provenienti da Tibet, Indonesia, Iran, Arabia Saudita e da altri Paesi lontanissimi, ha riservato non poche emozioni. Vedere 5 / 6 film al giorno per 10 giorni, entrare in una sala alle 8,00 per uscirne 12/14 ore dopo, facendo file interminabili non solo per entrare in sala ma anche per le pause tecniche fisiologiche (non pochi hanno adottato anche la tattica di bere il meno possibile per non trovarsi in difficoltà nel corso delle proiezioni), alimentarsi alla spicciolata e disordinatamente, affrontare il clima siberiano delle sale mentre sei già provato per il caldo umido sopportato mentre eri in fila, tutto questo lo si fa solo se si è animati da una grande passione. Quella passione che provi nel seguire gli uomini dello SWAT, nell’inferno di Mosul, per combattere l’Isis (“Mosul” di Carnahan), nell’entrare nelle stanze delle istituzioni europee per la risoluzione della crisi greca in compagnia di Varoufakis e dei suoi nemici, come Wolfgang Schauble, fautori della Grexit (“Adults in the room” di Costa Gavras), nel vedere gli uffici farlocchi della società offshore Mossack Fonseca per i cosiddetti Panama Papers con i troppi capi di Stato e di Governo che hanno eluso le imposte dei propri Paesi avvalendosi dei servigi di un manipolo di truffatori  (“The laundromat” di Soderbergh), nel sentire tutta l’angoscia della Seberg, controllata da Hoover e dall’Fbi per il solo fatto di aver mostrato simpatia per i movimenti a difesa degli afroamericani (“Seberg” di Andrews), per le ‘vespe’ che combatterono gli anticastristi in America (“Wasp network” di Assayas).  Questo e tantissimo altro ti consente di fare il Cinema. Il bello dei festival è che queste emozioni sono tutte concentrate nel tempo (e nello spazio). E fa piacere vedere tanti, tantissimi giovani (alcuni film come quelli di Polanski, Soderbergh e di Costa Gravas dovrebbero essere obbligatori nelle scuole e nelle aule universitarie) accalcarsi per vedere film “sanamente eversivi” come ha scritto Oscar Cosulich in questi giorni, un Cinema di qualità capace di “buttare alle ortiche l’ipocrisia pelosa del politicamente corretto”, un Cinema visto rigorosamente sul grande schermo, abbandonando per un momento il cattivo vezzo di fruire di opere cinematografiche tramite smartphone e tablet. Giovani cui fanno da contraltare, però, altri loro coetanei capaci di buttare al vento giornate intere nell’attesa di vedere da vicino Chiara Ferragni e Fedez sul red carpet. Una generazione, che come tutte le generazioni, mostra le proprie insanabili contraddizioni.

Ma occorre ora provare a fare un pronostico dei principali premi.

Leone d’oro per il miglior film: “Joker” di un regista, come Todd Phillips finora autore di film dimenticabili come “Road trip” o “Old school”, qui al suo capolavoro. Film che si richiama all’immortale “Taxi driver” di Scorsese (il cammeo di Robert De Niro dimostra la piena consapevolezza del regista del proprio debito scorsesiano, anche se nelle conferenze stampa non lo ha dichiarato). 

J’accuse di Polanski avrebbe meritato lo stesso premio, ma le dichiarazioni pre-mostra della presidente di giuria, Lucrecia Martel, non consentono di pensare che possa essere premiato con il massimo alloro. Potrebbe quindi ricevere il Leone d’argento, Gran Premio della Giuria. 

Leone d’argento per la migliore regia: Soderbergh per “The laundramat”

Premio speciale della giuria: “The painted bird” di Vaclav Marhoul, un film che mi ha ricordato il capolavoro di Elmen Klimov, “Va e vedi”, sulle carneficine naziste nei villaggi di Bielorussia e Ucraina. Un’infanzia drammatica di un nuovo Ivan tarkovskijano negli anni più cupi della storia dell’umanità. 

Miglior sceneggiatura: “Marriage story” di Baumbach (un “Scene del matrimonio” girato da Woody Allen in luogo di Bergman), sceneggiatura magnifica, oppure “The laundramat” di Sodeberg se non vince come migliore regia.

Coppa Volpi miglior interpretazione maschile: Joaquin Phoenix (la sua interpretazione non gli farà sfuggire neanche l’Oscar i primi di marzo).

Coppa Volpi miglior interpretazione femminile: Scarlett Joahnsson (per Marriage story) oppure la sempre splendida Maryl Streep, per “The laundremat”.

Premio Marcello Mastroianni ad un giovane attore/attrice emergente: Eliza Scanlen nel film australiano di Shannon Murphy, una delle due registe in concorso, “Babyteeth”.

Per la sezione Orizzonti il miglior film è secondo me “Verdict”, film indonesiano di Raymund Ribay Gutierrez, su una violenza domestica che trova nel caso, e non nella giustizia umana, il proprio epilogo felice.

Il miglior corto è, secondo me, il film “Nach zwei Stunden Warner zen Minuten vergangen” (“Dopo due ore, erano passati dieci minuti”) di Steffen Goldkamp, film girato in un carcere minorile.

Due parole sui film italiani in concorso: gran bei film, quelli di Martone e Marcello, ma non in grado di contendere il leone ai film indicati. Almeno a mio parere. E ora non ci resta che aspettare i verdetti finali di questa sera.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.