Calcio e cinema, non solo Totti. Da Maradona a Van Basten: tutti i film sulle vite dei campioni

by Nicola Signorile

Il calcio è lo sport più amato e praticato nel mondo. Ma la sua relazione con il cinema non è sempre stata idilliaca. Il materiale a disposizione è straordinario: storie di riscatto e di rinascita e una passione collettiva irrefrenabile, forse una delle poche ancora trasversale.

Per non parlare delle pagine di letteratura lasciate da grandi scrittori, da Osvaldo Soriano a Pierpaolo Pasolini, e di saghe sportive ed esistenziali che aspettano solo di esser raccontate. Eppure sono molti i registi e autori che ci hanno lasciato le penne nel tentativo di mettere il pallone al centro di un film. Si dice che siano altri gli sport cinematografici: la boxe su tutti, con basket e football fonte inesauribile di storie per gli States, basti pensare a The Last dance, uno dei più bei documentari in circolazione incentrato sui leggendari Chicago Bulls di Michael Jordan. Certo, ci sono Fuga per la vittoria, Il maledetto United o i nostrani L’allenatore nel pallone e Il campione. Tutto sommato pochi titoli, in una storia lunga più di un secolo.

Di tanto in tanto la passione tra il calcio e lo schermo si  riaccende. Questo è uno di quei momenti, in cui però l’attenzione ricade specialmente sulle vite dei suoi grandi campioni. A cominciare da È stata la mano di Dio, nuovo film di Paolo Sorrentino, prodotto da Lorenzo Mieli con The Apartment e Netflix, dove arriverà il prossimo anno. Il titolo fa riferimento alla frase che Diego Armando Maradona usò per descrivere il suo goal contro l’Inghilterra nella Coppa del Mondo del 1986. Set a Napoli blindatissimo per un film che il regista premio Oscar ha definito “intimo e personale, un romanzo di formazione allegro e doloroso”. Sarà dedicato al pibe de oro? L’ex campione, fresco sessantenne, ha minacciato di far causa a Sorrentino e a Netflix per l’utilizzo non autorizzato della sua immagine. Nota la passione dell’autore per il numero 10 argentino citato nel discorso di ringraziamento per l’Oscar a La grande bellezza e apparso brevemente in Youth. Netflix si è affrettata a negare che si tratti di un film di sport e men che meno di un’opera su Maradona. Quello che si sa con certezza è che Paolo Sorrentino ha ringraziato la sua troupe con un post su Instagram il 5 novembre. Nel cast ci sono Toni Servillo, Luisa Ranieri e Massimiliano Gallo.  

A causa della nuova chiusura dei cinema, in sala è durato quanto un gatto in tangenziale, come direbbero nella capitale. E proprio l’ultimo re di Roma è il protagonista del documentario Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli, tratto dal libro Un Capitano, scritto dal calciatore con il giornalista Paolo Condò, ora disponibile su Sky e in VoD su altre piattaforme. Un ritratto inedito di uno dei più grandi campioni della storia del calcio italiano, che si racconta a cuore aperto nella notte prima del suo addio al calcio.

Vita personale e ricordi inediti di 25 anni di carriera narrati attraverso la voce del Pupone e la lente del regista di Almost Blue e del documentario S Is for Stanley, a partire dagli inizi nella Lodigiani, passando per i trionfi  – lo scudetto e la vittoria della Coppa del Mondo nel 2006 – e i goal più importanti, senza trascurare il rapporto con gli allenatori che ne hanno segnato il percorso, Carletto Mazzone, Luciano Spalletti e Marcello Lippi, che lo volle a tutti i costi nella vittoriosa spedizione tedesca nonostante l’infortunio prima dei Mondiali. Poi, la famiglia, gli amici di una vita, la storia d’amore con Ilary Blasi e con la sua città. Di Francesco Totti parlerà anche la serie Sky Original, prodotta con Wildside, Speravo de morì prima: sei episodi per raccontare gli ultimi due anni di attività, i più difficili della carriera, del numero 10 della Roma, interpretato da Pietro Castellitto, affiancato da Greta Scarano (Ilary Blasi), Monica Guerritore e Giorgio Colangeli (genitori), Gianmarco Tognazzi (Luciano Spalletti) e Gabriel Montesi (Antonio Cassano).

Cambio di città, stessa bruciante passione. Si parla di Roberto Baggio, talento immenso, uomo schivo e riservato, mattatore solo sul terreno verde. A differenza di Totti, un fuoriclasse amato da tutti al di là dei colori che ha fatto sognare la generazione di Italia ’90 e Usa ’94.

Divin Codino (il titolo che omaggia il soprannome del calciatore di Caldogno) è un film prodotto da Fabula Pictures per Netflix e Mediaset, uno dei primi risultati dell’accordo di collaborazione tra il colosso americano e l’azienda italiana, con la regia della pugliese Letizia Lamartire, che ha già diretto la serie Baby e il lungometraggio Saremo giovani e bellissimi. Faccia pulita e confidenza col pallone, sarà Andrea Arcangeli, il protagonista di Romulus, a prestare il volto a Roberto Baggio (Valentina Bellè sarà la moglie Andreina Fabbi) nel racconto dei 22 anni di una favolosa carriera, cominciata nel 1982 a Vicenza e chiusa a Brescia, nel 2004. Ferite e successi, i brutti infortuni e il pallone d’Oro, le notti magiche dei Mondiali italiani e il rapporto difficile con Arrigo Sacchi, i successi con le maglie di Fiorentina, Juve, Milan e Inter e la mancata convocazione da parte di Trapattoni ai Mondiali in Corea-Giappone del 2002, la rinascita a Bologna e la delusione più grande, quel rigore calciato alto nella finale di Pasadena nel 1994 contro il Brasile.

Una new wave cine-calcistica che passa anche per Milano, sponda rossonera, con due icone milaniste, una di ieri, Marco Van Basten, e una di oggi, Zlatan Ibrahimovic. La Lucky Red di Andrea Occhipinti ha acquisito i diritti per distribuire in Italia I am Zlatan, biopic diretto dallo Jens Sjogren sul calciatore svedese figlio di immigrati jugoslavi, scritto da Jakob Beckman e David Lagercrantz, tratto dell’autobiografia Io, Ibra che Lagercrantz ha scritto con campione oggi di nuovo al Milan, tradotta in più di 30 lingue ed edita in Italia da Rizzoli. Lo sfrontato attaccante, coinvolto nel progetto in fase di scrittura della sceneggiatura, sarà interpretato da due attori: Dominic Bajraktari Andersson (per il periodo dagli 11 ai 13 anni) e Granit Rushiti ( per il periodo dai 17 ai 23 anni). “Molto più che un calciatore – ha detto Occhipinti –  un leader puro, un’icona leggendaria, non poteva che diventare una grande storia per il cinema”.  Primo calciatore ad aver giocato con 7 squadre in Champions League, nonché uno degli attaccanti più prolifici della storia del calcio. Un top player passato per molti grandi club europei – Ajax, Psg, Manchester United, Juventus, Inter, Barcellona e Milan – che ha raggiunto la fama mondiale per una fusione unica di talento, carisma ed esuberanza.

A 39 anni suonati è ancora un fuoriclasse ed è tornato a giocare in Italia, sua patria di elezione in cui ha trascorso la maggior parte della carriera. Memorabili le sue frasi a effetto: “Dovete sapere che io ho una filosofia. Me ne frego di quello che pensa la gente e non sono mai stato a mio agio fra i tipi perbenino. Perché ricordate: si può togliere il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo”. Le riprese del film sono iniziate in Svezia lo scorso ottobre e si concluderanno ad Amsterdam. L’uscita al cinema è prevista per l’autunno 2021.

 Infine, il cigno di Utrecht. La casa di produzione Hollands Licht  ha acquistato i diritti cinematografici del bestseller Fragile, l’autobiografia di Marco Van Basten scritta con Erwin Schoon, in cui il centravanti si racconta apertamente senza risparmiare niente e nessuno. Si parte dalla giovinezza, il rapporto con i genitori, la carriera segnata dalla malasorte – le imprese in Italia, la Coppa dei Campioni del 1988, il fallimento ai Mondiali del 1990 – il rapporto con Johan Cruijff, l’infortunio alla caviglia, le battute d’arresto finanziarie, i numerosi successi e i tanti momenti difficili. Dal libro sarà tratta una serie tv, di cui sarà consulente creativo l’attore olandese Barry Atsma che ha definito Van Basten, “un personaggio affascinante e pieno di contraddizioni. Estremamente ambizioso, geniale ed esigente, ma allo stesso tempo vulnerabile, introspettivo e sincero in modo commovente”.

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