Carlo Sironi racconta Sole, opera prima sul dramma delle false adozioni

by Luana Martino

Prosegue il Sudestival, festival del cinema di Monopoli, con la proiezione, nella sezione lungometraggi, di ‘Sole’ opera prima di Carlo Sironi.

E’ la storia di Ermanno (Claudio Segaluscio), un ragazzo che vive la sua vita in modo piatto, tra gioco d’azzardo e piccole attività illegali. Un giorno conosce Lena (Sandra Drzymalska), sua coetanea di origini polacche, giunta in Italia incinta per vendere la sua bambina e dare inizio ad una nuova vita. Ermanno è deciso ad aiutarla fingendo che la piccola sia sua figlia. Il piano coinvolge gli zii del ragazzo, che purtroppo non possono avere bambini, e potrebbero adottare la nascitura più facilmente proprio perché parenti stretti del fantomatico padre.

La bambina, di nome Sole, viene alla luce prematuramente obbligando la giovane mamma ad allattarla al seno. È così che Lena è costretta a passare del tempo con quella figlia di cui voleva liberarsi e con la quale sembra non riuscire ad instaurare un rapporto. In Ermanno scatta qualcosa: Sole lo conquista e inaspettatamente il giovane avverte il bisogno di accudirla come se fosse sua.

In questo tempo dell’indifferenza, dell’apatia, del mare che nel rumore delle onde sembra annullarsi in un indistinto vortice di emozioni, si muovono i giovani protagonisti con le loro storie e con il loro passato denso di aneddoti che, grazie alla nascitura, si troveranno a fondere e ad unire in un turbine inaspettato.

Una bambina, non a caso chiamata Sole, che senza aver neanche visto la luce è condannata ad essere rifiutata dalla madre riuscirà, però, a far emergere nei giovani ‘genitori’ la possibilità di guarire, di considerare il futuro come un’alternativa ed intravedere delle occasioni.

Per l’occasione Bonculture ha intervistato il regista Carlo Sironi.

Il tuo lungometraggio di esordio a Venezia nella sezione Orizzonti. Un’ importante vetrina?

Beh, Venezia è il secondo festival più importante al mondo. E’ vero che da italiano giochi in casa e quindi viene meno quel senso, diciamo, dell’esotico che potrebbe avere un film straniero ma è comunque un modo per far conoscere il film a livello nazionale e non. Proprio a Venezia abbiamo, infatti, trovato la distribuzione, Officine Ubu, che ha permesso di far uscire il film ad Ottobre.
Dopo Venezia il film è stato a Toronto: un’accoppiata incredibile, dunque, che ha dato visibilità al film che, da quel momento, continua a girare nei circuiti dei festival a livello mondiale (sin ora Sole è stato in più di 50 festival e uscirà in sala in Francia il 6 Maggio e poi seguiranno le uscite in America, Colombia e Turchia n.d.r.)
Questo per dire che Venezia non solo ha aiutato tantissimo il film ma ci ha permesso di vivere un’esperienza emozionantissima.

Come hai scelto di raccontare questa storia? Tu che sei regista ma anche sceneggiatore.

In realtà è avvenuto tutto in maniera molto naturale. Già i miei precedenti lavori avevano a che fare con la maternità e la paternità anche se, ovviamente, in maniera diversa. Durante la fase di ricerca per l’ultimo cortometraggio ‘Valparaiso’ ho capito che questo meccanismo di false adozioni poteva essere vero così ho enfatizzato le mie indagini a riguardo e ho appurato che si trattava, purtroppo, di una realtà esistente. C’è stato un momento in cui io e Giulia Moriggi -che ha scritto con me il soggetto e la sceneggiatura- abbiamo deciso di scrivere questo film analizzando un punto di vista differente da quello della coppia o da quello di una giovane madre che viene in Italia per vendere sua figlia. La nostra idea è stata quella di voler raccontare, appunto, una nuova prospettiva: quella di un ragazzo che deve fingere di essere padre ma che poi si immedesima in questo ruolo riuscendo a credere di poter essere un padre, appunto.
E’ qui che nasce il film.

Come hai detto si tratta di un punto di vista diverso: quando si trattano cinematograficamente questi argomenti, infatti, si è soliti concentrarsi sulla figura della madre che dà alla luce, la madre che crescerà il bimbo. Qui invece entra, appunto, in scena un elemento quasi inedito: il padre in affitto.

Oltre ad essere l’idea che ha fatto nascere il film mi sembrava anche molto interessante poter raccontare il passaggio dall’essere figlio ad essere padre -visto che si tratta di un ragazzo così giovane- in un modo quasi mentale ed identitario. Inoltre, mi sono sempre concentrato su personaggi femminili e volevo lavorare su un personaggio diverso e donargli qualcosa di personale a livello di emozioni. Quando una storia continua a piacerti per lungo tempo è significativo: è la storia che cercavi e che devi raccontare.

In ‘Sole’ ma anche nei tuoi lavori precedenti racconti storie difficili, temi socialmente delicati: qual è la tua idea di cinema, dunque?

Credo che non ci sia un’unica idea di cinema. Certamente i grandi registi seguono una linea poetica che si ritrova in tutti i loro lavori. Personalmente, pur avendo trattato, nei miei lavori, tematiche simili tra loro ho sempre utilizzato linguaggi diversi e spero di poter continuare a sperimentare sempre nuove strade. Ogni film deve avere, perciò, un approccio diverso e un modo di narrare differente. Per ‘Sole’ mi è sembrato opportuno avere un approccio così radicale, scegliere attori non professionisti e svuotare di una serie di mezzi il film perché la storia, così forte e semplice allo stesso tempo, potesse emergere totalmente.

Questa prospettiva ti ha portato, quindi, a valutare Sandra Drzymalska e Claudio Segaluscio come perfetti protagonisti. Com’è andata?

Assolutamente si. La storia andava raccontata nella sua essenza e con dei protagonisti che potessero esprimere tutta l’umanità di questo racconto. ‘Sole’ è, infatti, un film di personaggi; mi occorrevano due protagonisti magnetici ed espressivi che ho dovuto rintracciare con un lavoro di casting molto lungo.
Claudio doveva celare nello sguardo un dolore particolare e allo stesso tempo è in grado di trasmettere, naturalmente, tenerezza; invece, Sandra, che ho scelto dopo aver visto 13 attrici, è riuscita ad apportare il suo personale tocco al personaggio di Lena, donandole un aspetto infantile e leggero. Ho avuto tempo e modo di fare molte prove con loro, da un lato perché Claudio era alla prima esperienza sul set e per aiutare Sandra ad imparare l’italiano, dall’altro per fare in modo che emergessero quelle caratteristiche così personali che li contraddistinguono.

Per quanto riguarda lo stile registico hai eliminato quasi del tutto i movimenti di macchina, ti sei concentrato su inquadrature fisse quasi a voler dare enfasi agli sguardi, alla tragicità della storia?

Anche in questo caso volevo mantenere l’attenzione su di loro e sulla storia. Più toglievo elementi e più sono riuscito a dare importanza alla semplicità del tutto. Questo si riflette anche nella scelta della colonna sonora e nel montaggio del suono. Abbiamo scelto solo pochi pezzi da utilizzare da sottofondo e poi abbiamo voluto optare per i suoni, i rumori d’ambiente e lavorare sui silenzi.

Immagine del mare: ritorna spesso nel film. Come mai?

In realtà da subito ho capito che volevo girare difronte al mare. Non volevo ambientare il film in una grande città ma neanche in un paesino e quindi l’opzione di girare in un luogo di mare mi è sembrata perfetta. Mi piaceva l’idea che il luogo non fosse indentificato realmente ma che potesse risultare quasi ‘universale’. Quando parlo di riferimenti e di artisti ai quali mi ispiro sono solito citare dei fotografi e, in questo caso, l’immagine del mare la collego ad una foto di Todd Hido, così come il mare che ritorna sulla porta dell’ascensore che si chiude sugli sguardi dei due protagonisti.  

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.