“Chiediamo scusa ai Vanzina”. Vacanze di Natale: l’Italia di ieri, l’Italia di oggi

by Gabriella Longo

Lo diceva nel 2005 il giornalista di Repubblica Curzio Maltese a proposito del primo vero cinepanettone della storia: “Bisogna chiedere scusa ai fratelli Vanzina. Per anni abbiamo creduto che sfornassero film di serie b. Invece era neorealismo. Un ritratto fedele dei nuovi italiani”. E che ci piaccia o no, forse anche per effetto di una certa distanza dal fenomeno, quella di Maltese, non è poi una affermazione così ardita. Ma di quali italiani, e di quale Italia si racconta in Vacanze di Natale?

Della nostra Italia. Quella degli anni Ottanta, come quella di adesso, e degli italiani di oggi che sono, simbolicamente, il rigurgito di quelli di un tempo. L’atmosfera disimpegnata del Natale a Cortina vista da Carlo ed Enrico, è la fotografia ingiallita di un paese che stava salutando ufficialmente gli anni di piombo, e che andava, invece, dritta incontro – e anche con una certa ossimorica urgenza- ad un periodo di totale leggerezza, di cui la kermesse di caratteri vanziniani, sempre eternamente in ferie, diviene simbolo.

Da Christian De Sica a Jerry Calà, passando per i vari Claudio Amendola, Stefania Sandrelli, Mario Brega, Guido Nicheli e Riccardo Garrone, il cast di Vacanze di Natale è perlopiù quello della nuova commedia, quella che prima di essere chiamata “cinepanettone” – neologismo di recente conio che ne accentua il carattere più deteriore– bisogna avere il coraggio di ammettere, è la erede diretta di quella grande commedia all’italiana dei vari Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassmann, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi e di tutta la “vecchia guardia”. Significativamente, infatti, il film dei Vanzina del 1983, si pone su una linea che conduce dritta a quel Vacanze d’Inverno del ’59, con Alberto Sordi e De Sica padre, quasi come a sottolinearne un’ulteriore continuità.

Tresche, vacanze, tresche in vacanza, scambi di coppia, equivoci, sottacevano quasi sempre storie di uomini e di donne sempre più confusi e sradicati dalla propria storia, sempre più lontani fra di loro, così carnalmente vicini eppure così tragicamente soli. Di questa progressiva alienazione aveva raccontato la commedia, con la compiacenza del suo riso amaro, con la spensieratezza di un viaggio sull’Aurelia e la fatalità del Sorpasso di Dino Risi. L’Italia, gli italiani, erano quelli.

Ma sono stati anche quelli chiusi dai Vanzina nel rifugio invernale di Cortina circa vent’anni dopo, a festeggiare (quale natale?) che cos’erano diventati dopo il boom e il contro boom. Il calcio è l’immancabile collante nell’amicizia fra un borgataro e un pariolino (nell’’83 la Roma era campione d’Italia), la scelta nell’acquisto fra due automobili argomento di discussione fra i ricchi volponi, piccole love story e grosse corna riempiono le vacanze di natale che si trasformano presto in vacanze d’estate, facendole percepire quasi come un unicum infinito.

Creature in una gabbia di cristallo a proteggere da tutto ciò che non è festa, monadi che vivono il dramma di non avere assolutamente niente di cui disperarsi, e per i quali l’unico senso del luogo di villeggiatura è vomitarsi addosso il proprio status symbol. Pensiamo a De Sica, che nel film interpreta Roberto, il figlio bamboccione dei Covelli, famiglia romana di avvocati, e alla sua recriminazione nei confronti del falso perbenismo dei genitori. Roberto/De Sica viene a Cortina direttamente da New York accompagnato dalla fidanzata americana Samantha, bellissima da far fermare gli orologi, ma che tratta come il migliore degli accessori. De Sica, che è un bravo pallonaro, gioca la carta dell’ipocondria per sganciarsi da certe odiate richieste d’attenzione della ragazza, fino a quando non scopriamo che ha interpretato fino ad allora la parte del cripto-gay. Famoso è il discorso che tiene dinnanzi ai genitori inorriditi, una volta sorpreso a letto con un uomo la notte di Capodanno: “Papà, a te t’ha fregato il benessere. Tu facevi il capo mastro! Invece oggi c’hai i soldi e te scandalizzi. M’hai mandato in America, a New York! Tsz, noi semo de Frascati! A papà, e piantala… e poi, mamma gioca a Gin al circolo Canottieri e se veste da Versace? Tu metti l’orologio al polso come Gianni Agnelli? E io vado a letto co Leonardo Zartolin, perché nse po’?”

Nelle parole di Roberto/De Sica c’è, niente di più, che la descrizione di un cafone arricchito e cioè dell’italiano-tipo del momento, che si differenzia da una famiglia di (fieri)borgatari come quella dei Marchetti – interpretati da Claudio Amendola, Mario Brega e Rossana di Lorenzo –  solo ed esclusivamente perché ce l’ha fatta, come si suol dire. Nel vasto repertorio di wannabe anni Ottanta, rientra a pieno titolo pure l’emergente figura del “cumenda” della Milano da bere di Bettino Craxi, della quale è immancabilmente volto Guido Nicheli, contraltare ed evoluzione nordica del vecchio vitellone romano. Sposato con Ivana/Stefania Sandrelli, Nicheli, col suo personaggio, racconta, con quel suo fare da baùscia, di un Paese sempre più prossimo all’epoca berlusconiana, e della conseguente invasione televisiva con le reti Fininvest, di cui abbiamo qualche accenno nel palinsesto di Rete 4 e Canale 5, sciorinato dalla cameriera dell’avvocato Covelli. E Mentre Ivana/Stefania Sandrelli, attacca al chiodo le vesti della moglie borghese per partire alla riconquista della sua vecchia fiamma Billo/Jerry Calà, lo squattrinato dee-jay di Cortina (“Non sono bello, piaccio!), Nicheli ha il suo bel da fare con “la mandrilla di Porto Recanati (…) tipica marchigiana cabriolet, sempre aperta”… agilmente messa alla stregua d’una macchina.

Così, i figli di Steno, non avevano fatto altro che dare corpo a quella volgarità, quella dei nuovi (finti) ricchi e di tutta la varietà umana che gli ruotava attorno come gli anelli di Saturno. Corpo ma anche voce, con l’uso efficacissimo del turpiloquio, indispensabile per identificare certe specificità regionali e sin troppo spesso bistrattato per snobismo intellettuale o per pura faciloneria di giudizio. Ciò che sorprende è che, poi, lo stesso italiano che aveva guardato dall’alto in basso un film come questo, sarebbe stato lo stesso a scandalizzarsi della mancanza di stile della sua classe dirigente qualche anno più avanti, quando i giornali avrebbero iniziato a pubblicare le intercettazioni di tangentopoli, dimenticandosi che quello che lo faceva inorridire nel riflesso, era molto più simile a lui di quanto non credesse. Forse è davvero giunto il momento. Così, riaprendo gli occhi, è già oggi; dall’83 gli italiani avranno fatto milioni di vacanze, quasi sicuramente trascorse a consumare lo sciamanico rito dello scarto dei regali… e ad attendere il momento per proferire, laconici: “anche questo natale, se lo semo levato dalle palle”.

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