Confessioni di un cinefilo: Checco è un sognatore

by Giuseppe Procino

“Tolo Tolo m’è piaciuto un botto”, si ritrovano ad ammettere, sorpresi e spiazzati, i cinefili più incalliti e difficili, come il “nostro” Giuseppe Procino, che ha sentito il bisogno, quasi fisico, di scrivere la sua recensione del film di Luca Medici, campione di incassi al cinema.

Eccola.  

Checco è un sognatore: da sempre sogna di poter realizzare grandi imprese nella sua Spinazzola. Una di queste è l’apertura di un sushi restaurant che lo indebiterà a tal punto da fuggire via in Africa e far perdere le sue tracce. Una guerra civile però lo costringerà a battere ritirata e a tornare in occidente percorrendo lo stesso percorso dei migranti attraverso il deserto, il mare e mille peripezie. Suoi compagni in quest’avventura tragicomica Oumar, cameriere appassionato di cinema italiano e che coltiva il grande sogno della regia, la bellissima e astuta Idjaba, il piccolo Doudou, che Checco dovrà aiutare a ricongiungersi con suo padre in Italia.

“Tolo Tolo”,  in altre parole “solo solo” pronunciato da Doudou che ascolta per la prima volta la lingua italiana, ma “Tolo Tolo” è anche Luca Medici in questa sua prima avventura dietro la macchina da presa, per la prima volta senza Gennaro Nunziante, suo coautore e regista dei suoi conclamati successi cinematografici. È un grande salto questo per il comico pugliese, un grande salto che compie con consapevolezza, scrivendo la sceneggiatura assieme a Paolo Virzì.

Già, perché nel coinvolgimento dell’autore e regista Toscano, si palesa l’intenzione dichiarata di elevare i toni delle sue scorribande cinematografiche. “Tolo Tolo” è un progetto che mantiene lo spirito irriverente e caustico di Zalone ma lo fa con una cura differente, mettendo da parte le battute da mal di pancia a favore di una scrittura più complessa. Il risultato è una pellicola pregevole, un prodotto dalla regia acerba ma più cinematografica e meno televisiva, con una storia che funziona nel suo essere favola tragica contemporanea e nel messaggio che arriva a chi vuole ascoltarlo e infastidisce chi non è pronto a mettersi in discussione. Sì, un film leggero ma dal cuore grande, che nella sua natura di commedia sceglie di accennare e non dire sino in fondo, di mostrare un’Africa edulcorata e semplificata e che trova persino la maniera di raccontare la situazione delle carceri libiche senza scegliere la strada dello shock. Stiamo comunque parlando di una commedia, basata sullo schema classico della favola (un eroe, un obiettivo da raggiungere e degli aiutanti che lo accompagnano) e proprio della favola mantiene i colori, le sequenze leggere, rubate al musical. È una pellicola realizzata con la prerogativa di lasciare qualcosa in più di qualche battuta e di parlare a più target, per questo è da apprezzare la scelta di un tema così complesso, e di raccontarlo con linearità che non trova una soluzione, ma solo una riflessione. Questa scelta evita così il rischio di cadere nel retorico o nel didascalico. “Tolo Tolo” in fondo è un percorso verso la ricerca del senso di umanità, di uguaglianza, di unione in un momento storico in cui chiunque può ritrovarsi migrante e in cui è il caso a reggere le sorti delle nostre vite. Il senso del viaggio di Zalone sta tutto nelle immagini che sono una versione quasi incantata di una realtà ben più crudele e violenta, alleggerita volutamente dalle solite canzoni e che si dichiara nell’intento nel finale totalmente inaspettato. Non sarà un capolavoro ma perlomeno ha più anima di tante brutte e osannate commedie italiane degli ultimi anni o ha molte più cose da dire. Sicuramente non lascia indifferenti, d’altronde ogni volta il cinema di Zalone fa sempre incazzare qualcuno, a volte perché non si comprende il motivo della sua simpatia, altre volte perché è colpevole di monopolizzare le sale cinematografiche per intere settimane, e quindi: “se la sala è piena, il film fa schifo”.

In queste settimane e, comunque prima dell’uscita nelle sale, i giudizi aprioristici sul nuovo lavoro del comico pugliese si sono sprecati, tra chi urlava già al capolavoro e chi al populismo più bieco, senza sforzarsi di comprendere realmente l’acume che si nasconde dietro la maschera da coatto e ingenuo del personaggio. Certo, è difficile scovare dove finisca Luca Medici e cominci Checco Zalone o viceversa, in questo il comico e musicista nato a Bari e cresciuto a Capurso è stato da sempre abile nel separare in maniera netta vita pubblica e vita privata. Eppure basterebbe fare la fila in biglietteria per il film, in un qualsiasi cinema, e poi aspettare la fine della proiezione per capire quanto il fenomeno Checco Zalone non sia dettato da casualità, bensì da un innato ed evidente talento nell’analizzare e rendere paradossale la realtà, la società in cui siamo costretti a vivere. Zalone è il nostro Io depredato della malizia, lasciato nudo con tutte le sue ingenuità. C’è chi si sente offeso, chi rivuole indietro i soldi del biglietto, chi chiama qualcuno al telefono e ne sconsiglia la visione prima che sia troppo tardi.

Davvero qualcuno credeva che fosse possibile realizzare e distribuire una pellicola che inneggia al razzismo e magari anche a qualche nostalgica ideologia? In questo Medici ha già vinto: nell’aver portato in sala attraverso un trailer-videoclip assolutamente fuorviante il pubblico sbagliato, nell’avergli rotto le uova nel paniere, nell’averlo infastidito, trovando così la maniera per punire, con eleganza e senza violenza, i razzisti più biechi, quelli che gioiscono dietro una tastiera per degli innocenti morti nel mediterraneo.  Nel giro di una settimana è passato da essere la speranza per un nuovo scenario politico a schiavo dei poteri forti.  Era tutto calcolato.

Badate bene però il punto di vista di Zalone è esterno e per questo assolutamente oggettivo. Non risparmia nessuno: dal leghista di Spinazzola, all’uomo della strada diventato ministro alla velocità della luce, dall’artista affermato che fotografa una miseria verso cui in realtà non prova il minimo senso di compassione, al leader politico dal linguaggio complesso e incomprensibile (un autoironico ed eccezionale Nichi Vendola).

Ci sono tutti gli stereotipi della nostra contemporaneità, presi di mira e denudati, mostrati per quello che in realtà sono, senza mediazione alcuna, con il coraggio di schierarsi, di dire: io non ci sto, io sono dalla parte dell’essere umano, di restare umano, sempre e comunque. È in questo che si riconosce l’impronta del comico pugliese: nella scelta di restare sempre dalla parte dei sognatori e dei perdenti, di chi merita qualcosa di più, e nella sopravvivenza dello spirito grottesco e cattivo, questa volta accompagnato da una maggiore cura per l’immagine e meno volgarità. Siamo lontani dalla perfezione ma si ride, ci si commuove e, davvero, si riflette tantissimo.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.