Daguerréotypes, l’elogio della semplicità delle piccole cose di Agnès Varda

by Giuseppe Procino

La vita ordinaria, colta in un momento a caso e trasformata nella poesia dell’attimo come unico e irripetibile. Le vite dei figuranti che popolano le nostre quotidianità colte nella loro singolare e specifica mansione e osservate con discreta delicatezza, scoperchiate come se fossero scrigni. “Se aprissimo le persone troveremmo dei paesaggi” dirà anni dopo Agnès Varda nel suo “le spiagge di Agnès”, qui i paesaggi sono le esistenze, i ricordi dei primi incontri, una spiazzante umanità gentile, bella, unica.

Sono questi i dagherrotipi, le immagini tridimensionali, stereofoniche e in movimento, di questo incantevole progetto, Daguerréotypes, che nel 1975 Agnès Varda realizza per l’emittente televisiva Zdf. Un documentario su un piccolo segmento di vita, quella concentrata tra il numero settanta e il numero novanta di Rue Daguerre a Parigi, quel pezzo di strada dove Agnès Varda abita negli anni settanta e che condivide con le più disparate umanità.

Un documento quasi etnografico in cui ogni personaggio è, come lo definisce la stessa regista, un archivio “per archeologi e sociologi dell’anno 2975” ed effettivamente, visto a distanza di quasi quarantacinque anni, acquista maggiore efficacia soprattutto nella trasformazione in oggetto nostalgico. Quello che Agnès Varda compie è un atto di devozione nei confronti dei punti di riferimento della vita quotidiana di una generazione ma anche l’analisi di dinamiche sociali, di mestieri e di personaggi che appartengono a un’altra epoca. È uno sguardo romantico su una società che si accontenta, in grado di stupirsi per un’illusionista, che cerca la propria realizzazione nella creazione di un nucleo famigliare o che vede nel lavoro il sacrificio necessario. E poi sono anche immigrati o cittadini francesi partiti dal paesino verso la grande metropoli in cerca di una stabilità economica.

Daguerréotypes è l’elogio della semplicità, un album fotografico in movimento composto dai ritratti delle anime che s’incontrano con i residenti del quattordicesimo arrondissement, personaggi che dietro le proprie maschere nascondono una profondità esistenziale ed esistenzialista.  Ogni vita è raccontata nella sua quotidiana routine e nel rapporto con il proprio mestiere che identifica e maschera i percorsi, le scelte e i sogni che alcuni hanno smesso di fare. Un documentario che ci mostra un piccolo pezzo di Parigi che è la felicità per alcuni, la necessità per altri ma anche un’indagine sull’essere umano che anticipa quella che sarà la direzione dei lavori successivi dell’autrice francese .

Agnes Varda si muove con leggerezza, in punta di piedi e riflette il senso d’interdipendenza tra gli esseri umani, perennemente impegnati in uno scambio. La grandezza di quest’opera sta nell’andare oltre il momento in cui, pagato il conto, ci allontaniamo dai luoghi. Così un profumo o un chilo di pane, acquisisce un valore differente, contiene frammenti di vita, di aspirazione, di ambizione e divenendo più di un semplice oggetto di scambio ma il risultato finale di una storia.

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