Firenze Sotto Vetro, le testimonianze semplici e casalinghe, in cui gemma l’arte del racconto umano

by Michela Conoscitore

Un anno dopo già da qualche mese è partita la campagna vaccinale. Un anno dopo indossiamo ancora le mascherine ma oggi sono disponibili, abbinabili, quasi frivole. Un anno dopo il neo presidente del Consiglio Mario Draghi sta portando avanti il percorso di rinascita dell’Italia, pensando al futuro, a pandemia terminata.

Un anno fa bonculture li aveva intervistati per farsi raccontare il progetto work in progress, oggi esce finalmente al cinema Firenze Sotto Vetro, il social film dei registi fiorentini Federico Micali e Pablo Benedetti. Il lungometraggio, un vero e proprio esperimento che ha registrato una grande partecipazione da parte dei fiorentini, ben 1600 i video inviati, dà un volto agli italiani in pandemia perché per quanto narri della Firenze resiliente in quelle famiglie a casa, in quei ragazzi in Dad, in quegli infermieri stravolti, in quei tassisti fermi come tanti altri durante il lockdown, si possono riconoscere tutti.

Il desiderio di raccontare la Firenze di quel momento ha espresso una necessità artistica dei registi, che ha esorcizzato il periodo del primo confinamento a casa e, magari, anche provare a comprenderlo insieme. Inizialmente, il film sarebbe dovuto arrivare in sala nell’autunno del 2020. L’inasprirsi della pandemia a novembre, oltre alla chiusura di cinema e teatri, ne ha rimandato l’uscita. Eppure il racconto della città non si è fermato, Micali e Benedetti hanno continuato a raccogliere materiale video per proseguire con la narrazione di un anno che difficilmente verrà dimenticato e che, a pari merito, rimarrà impresso nella memoria storica locale come il 1966.

Nella Firenze del lockdown il silenzio produceva un eco straniante. Come un boomerang rimbalzava dalle strette vie del centro alla cupola del Duomo, dalla Torre di Arnolfo alle statue della Loggia dei Lanzi giù fino a Ponte Vecchio. Un silenzio assordante per una città d’arte, tra le più assediate dai turisti. Di colpo tutti a casa, non dovendo più schivare le folle vocianti in visita alla città ma un virus sconosciuto e mortale.

Emoziona parecchio rivedersi in quegli attimi, anche se quel periodo non è stato ancora metabolizzato anzi si preferisce dimenticare. Ci si sente un po’ dei sopravvissuti seppur non si sappia bene a cosa, se ad una pandemia o a sè stessi. Il racconto di Micali e Benedetti comincia a dicembre 2019, quando il virus era ancora in Cina, e da noi giungeva solo come una notizia nemmeno molto preoccupante. Poi l’escalation, i primi casi in Italia e a marzo il lockdown, deciso dal governo Conte. Guardare a ieri con gli occhi di oggi inevitabilmente provoca una sommossa emotiva, perché siamo usciti da quella bolla, siamo a contatto col virus, si parla di rischio ragionato, e forse ci sentiamo più forti. Ma lo siamo davvero? In fondo siamo ancora impauriti, perché abbiamo compreso l’ineluttabilità di un evento inaspettato.

Come i pugili sul ring, durante il primo lockdown, ancora rintronati dal colpo abbiamo provato ad andare avanti, a volte anche a far finta di niente, a risollevarci e inventare, quindi, un’altra vita a partire dalla scuola, dalla tanto contestata didattica a distanza. E poi spazio per i bambini che credono nei dottori vincitori sul virus, i balconi che diventano l’unico spazio esterno dove poter interagire con un’umanità che improvvisamente è diventata indistinta, più che lontana.

Quando l’estate pareva avesse portato risoluzione, ecco che ad agosto ricominciano a crescere i contagi: la chiusura delle discoteche, misure tardive, gli italiani che hanno scelto il liberi tutti, settembre critico. Il resoconto di quel secondo lockdown lascia parlare l’Arno che si ingrossa, ruggente. Nell’intento narrativo dei due registi, il fiume, tranquillo a maggio, in inverno veicola l’aggravarsi della pandemia ancora una volta. Il virus sembra travolgere tutto perchè entra in casa, guadagna terreno, e i balconi non servono più a molto, fuori piove e fa freddo. Novembre, dicembre, Natale in zona rossa. La città continua ad essere vuota di voci ma non di luci, di umanità, di speranza. L’ingenua stasi primaverile si è trasformata in un inverno immobile. I musei, i cinema e i teatri sono le vittime eccellenti di questa pandemia che non è solo sanitaria ma anche culturale.

Il leitmotiv oggi è proprio la ripartenza culturale oltre a quella economica, e Firenze Sotto Vetro ne è la testimonianza più vivida. Un film che ha appena iniziato il suo viaggio al cinema, che si spera sarà visto da una platea sempre più vasta e frequenterà festival internazionali. Un anno dopo, l’affermativo “andrà tutto bene” del lockdown è diventato una domanda. Tuttavia, film come questo fanno intravedere la rinascita soprattutto perché gli utili e una parte dell’incasso saranno devoluti ai lavoratori dello spettacolo attraverso un bando che sarà pubblicato dalla Malandrino Film, tra i produttori del lungometraggio, entro il 2021.

È preziosa la capacità di Micali e Benedetti di descrivere un evento sconvolgente come quello pandemico, intrecciando insieme testimonianze semplici, casalinghe, in cui gemma l’arte del racconto umano. Una narrazione quella dei registi fiorentini che risplende di energia, quella di chi nonostante tutto il virus l’ha già sconfitto nella testa.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.