For Sama, una piccola vita sboccia tra le bombe dell’assedio di Aleppo

by Nicola Signorile

A volte un film non è solo un film. Atto d’accusa nei confronti dell’Occidente, lettera d’amore indirizzata a una figlia appena nata, diario intimo e collettivo di un assedio. La forza delle immagini si manifesta in tutta la sua immane potenza nel documentario Alla mia piccola Sama di Waad al-Kateab ed Edward Watts (For Sama in originale), racconto straziante, pieno di dignità, dell’assedio della città di Aleppo, in Siria. Girato nel 2016 sotto le bombe degli aerei russi di supporto al regime di Bashar al Assad, è una straordinaria testimonianza sulla guerra e sulle sue vittime reali – civili inermi, bambini, famiglie – sulle lotta per la libertà e su una ragazza diventata donna in fretta, sotto la spinta degli eventi tragici che le accadono intorno.

La regista-protagonista-narratrice Waad al-Kateab nel 2011 è una studentessa siriana di marketing alla Aleppo University che sceglie di filmare con la sua telecamera tutto quello che accade in città durante la guerra civile, dalle prime proteste fino alla battaglia di Aleppo, vicende che inevitabilmente si intrecciano con la sua crescita personale ed emotiva. Durante i cinque anni di assedio, Waad diventerà una fonte molto rispettata per i media internazionali, una giornalista in prima linea che produrrà video impressionati per il canale britannico Channel 4; una giovane donna che in For Sama racconta la propria crescita esistenziale, il legame profondo con l’amico Hamza, uno degli ultimi medici rimasti in zona, che diventerà suo marito e la nascita della piccola Sama, nell’ospedale di Al Quds. Una nuova vita sbocciata nel bel mezzo delle bombe, alla quale la giovane madre rivolge la propria videolettera, narrata sempre con voce dolce, suadente, in forte contrasto con immagini scioccanti davanti alle quali vorremmo girare la testa per non guardare, come ha fatto l’Occidente davanti ai crimini del regime siriano, e dei sodali russi, nei confronti della popolazione.

La città assediata non è un posto dove crescere un bambino, i vivevi scarseggiano, manca l’acqua, non  ci sono frutta e verdura. Contro i ribelli viene utilizzato qualunque mezzo: bombe a grappoli, missili, barili bomba, persino il cloro gassoso. For Sama dimostra quello che hanno raccontato i rapporti delle organizzazioni internazionali, spesso contestati da una politica canaglia, la strategia mirata a colpire le zone residenziali, “o resa o fame”, i raid contro gli ospedali, crimini contro l’umanità narrati in prima persona dalla handycam di Waad. In principio ci sono le proteste all’università di Aleppo, l’entusiasmo dei ragazzi siriani che assaporano per la prima volta scampoli di libertà, i festeggiamenti per le strade, simili alle immagini delle primavere arabe, da piazza Tahrir in poi, che tanto entusiasmo suscitarono nei giovani di tutto il mondo. Hamza e Waad da amici diventeranno marito e moglie, complici, genitori. Loro stessi sfuggono per un soffio ai cecchini e agli attacchi aerei, alcuni loro amici muoiono. Assistiamo alla nascita di Sama e ai suoi primi mesi di vita all’interno dell’unico ospedale rimasto, gli altri sono stati distrutti dalle bombe. “È come se Sama fosse la figlia di tutto l’ospedale”, racconta sua madre (nella versione italiana, ha la voce di Jasmine Trinca).  Il film è anche un modo per Waad di chiedere perdono alla figlia, di spiegarle perché sono rimasti in quell’inferno e perché l’hanno tenuta con loro, a rischio della loro vita e della sua. La riflessione sul senso di una maternità portata avanti in condizioni così estreme è aperta: Waad si interroga continuamente su una scelta dalle implicazioni enormi, aggiungendo uno sguardo al femminile che regala all’opera una marcia in più. Potevano lasciarla con i nonni fuggiti in Turchia, ma Sama in qualche modo è diventata il simbolo della resistenza dei bambini siriani. Affamati, martoriati, resi orfani. Una scintilla di speranza chiamata cielo (Sama in arabo). Il documentario mostra con incredibile efficacia come la vita personale possa andare avanti anche durante un assedio: per i bambini ci sono la scuola e il gioco (impressionante l’immagine di bambole e palloni in mezzo al sangue e alla devastazione), la comunità degli assediati intorno a Sama – gli unici esseri umani al mondo ai quali sembra interessare quello che sta accadendo – l’amicizia, l’amore; Waad e Hamza si sposeranno circondati dai loro amici con i canti a coprire il rumore delle bombe. Quando i russi intervengono a sostegno di Assad, nel settembre 2015, la repressione nei confronti dei ribelli diventa feroce. Ma loro decidono di non fuggire dalla città come molti altri, di restare e continuare a combattere per la libertà.  Una calma irreale segue ogni massacro, la vita riprende a scorrere, perché “ad Aleppo non c’è tempo per essere in lutto”. Hamza dirige l’ultimo ospedale che va avanti con mezzi di fortuna, otto dei nove ospedali ad Aleppo est vengono distrutti dai russi, nonostante per strada si brucino pneumatici per oscurare  gli obiettivi con il fumo.

Il medico prova ad assistere 300 pazienti ogni giorno e Waad non ci risparmia nulla. Filma i disperati tentativi di rianimare un neonato, dopo uno spericolato parto cesareo. Filma una madre disperata che vuole prendere in braccio suo figlio, dargli il suo latte. Il piccolo giace senza vita su un lettino, quando lo sguardo della donna incrocia la camera, grida: “Continua a filmare, mostra cosa ci sta facendo il nostro presidente!”. Filma la morte di un bambino di cinque anni all’arrivo in ospedale e il dolore dei suoi due fratellini poco più grandi, macchiati di sangue e sabbia. Visioni intollerabili, ma necessarie. Niente censura, né retorica: l’orrore della guerra si fa denuncia esplicita, quasi priva di mediazioni, se si esclude lo sguardo della regista e il notevole lavoro di editing svolto con l’inglese Edward Watts. Il rosso del sangue è una onnipresente scenografia, sui pavimenti, sui muri, sui vestiti. In mezzo a tutto questo, le famiglie rimaste in città fanno del proprio meglio per dare ai bambini un’infanzia normale. Waad si ritrova a cercare di bilanciare diversi ruoli: madre, attivista, giornalista, cittadina e regista. La vediamo prendersi cura della piccola Sama, giocare con i suoi piedini, parlarle con tenerezza. Attimi di intimità che, nel volgere di qualche secondo, lasciano il posto al reportage di guerra, come avviene allo scoppio dell’ennesima bomba, esplosa in diretta mentre la giovane mamma sta filmando la figlioletta: “Qualcuno prenda Sama!” grida, pronta a prendere la sua videocamera per riprendere gli effetti della deflagrazione. For Sama è anche uno spaccato sulla femminilità contemporanea al tempo della guerra, disegnato attraverso le mille sfaccettature della giovane filmaker: la padrona di casa che si prende cura del giardino, la reporter che in lingua inglese spiega l’assedio agli spettatori stranieri, la mamma che prova a rassicurare sua figlia in una stanzetta di fortuna all’interno dell’ospedale.

Intanto i soldati del regime avanzano, di quartiere in quartiere, spingendo i ribelli in zone sempre più anguste. Anche a questo punto, il documentario non vira mai verso la rassegnazione o il pessimismo, a prevalere nel racconto di  Waad al-Kateab ed Edward Watts sono sempre il desiderio di vita e di libertà. “Mi odierai per essere rimasta qui o per esser partita ora?”, si chiede la giovane reporter quando l’unica scelta possibile sarà abbandonare Aleppo. Una città  annientata, un cumulo di macerie. Per accentuare l’effetto emozionale sullo spettatore, a volte il documento cede il passo al cinema di fiction attraverso l’utilizzo di musica drammatica in luogo del suono in presa diretta o nelle riprese aeree di quel che resta di Aleppo effettuate con droni. Unica scivolata in una narrazione  intensa, vitale, sincera.

Un pugno dritto nello stomaco sferrato con la necessaria forza e riconosciuto dalle giurie di tutto il mondo per il suo valore. For Sama è stato candidato all’Oscar – poi vinto dall’obamiano Made in Usa – Una fabbrica in Ohio – ha ricevuto il premio L’Oeil d’Or per il miglior documentario al festival di Cannes, il Bafta, l’European Film Award e il premio Amnesty International al Medfilm festival di Roma. Hamza e Waad sono vivi, hanno dovuto lasciare l’amata città con le lacrime agli occhi, ma non si sono arresi. Anzi, guardano verso il futuro, a una nuova vita. “Non rimpiango nulla Abbiamo lottato per la causa più importante, tutto ciò che abbiamo fatto è stato per te, Sama, affinché tu e i tuoi figli non dobbiate vivere quello che abbiamo vissuto noi!”

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