“Fulci for Fake” per indagare la figura del maestro del B-movie

by Giuseppe Procino

Nonostante momenti di grande successo di pubblico, quando era in vita, Lucio Fulci non ha mai incontrato il benestare della critica italiana. Eppure oggi il suo cinema ha un seguito enorme, soprattutto all’estero, tanto da aver creato un vero business legato alle varie edizioni in dvd e bluray delle sue pellicole più famose.

Sicuramente il cinema estremo del regista romano non è stato un cinema di facile digeribilità e spesso ha peccato di tragici buchi di sceneggiatura quasi come se il tutto fosse concepito come un preludio al sensazionalismo. Eppure nel cinema di Fulci c’è sempre stata un’inventiva quasi profetica, delle intuizioni che sarebbero diventate regola per il futuro della settima arte. Basti pensare che sin dagli esordi, dopo le collaborazioni con Steno, abita i generi più disparati dalla commedia al musicarello, sperimentando anche la parodia dei grandi successi cinematografici stranieri. Il periodo più importante della cinematografia Fulciana, quello più rilevante per la sua consacrazione a livello globale, è il secondo periodo della sua carriera, quello che lo lega indissolubilmente al genere horror splatter con interessanti incursioni nel thriller. Fulci è stato, per l’evoluzione del genere, seminale quanto George Romero, Tobe Hooper o Wes Craven, basti pensare nell’era della crossmedialità, a quanto Zombie (conosciuto da noi come Zombie 2) abbia anticipato, o meglio ispirato, il seguito della saga video ludica più nota legata ai non morti (Resident Evil 4).

Fulci non ha mai parlato in pubblico della sua vita privata, ha diffuso notizie quasi leggendarie sulla sua figura, a volte veritiere, a volte totalmente prive di fondamento. Ad esempio ha sostenuto di avere fatto proseliti tra i giovani talenti della New Hollywood come ad esempio Steven Spielberg, che avrebbe preso spunto da “Quella villa accanto al cimitero” per scrivere “Poltergeist” diretto poi da Tobe Hooper.

A scoperchiare il vaso di Pandora, arriva il docufilm di Simone Scafidi “Fulci for Fake”, come “F for Fake” di Orson Welles, l’attore e regista americano che Fulci ha incontrato sul set de “L’uomo, la bestia e la virtù” di Steno. La pellicola cerca di indagare e di ricostruire la figura del maestro del B-movie, attraverso le testimonianze di chi Fulci l’ha conosciuto davvero. Il cinema era il mezzo per esorcizzare la realtà o forse per urlare al mondo il malessere per una vita che non è stata di certo semplice.

L’idea di base, in altre parole quella di aggiungere alla texture del documentario l’escamotage della finzione, giocando sull’ambigua natura della verità che non è mai univoca, si rivela efficace.

Il punto di partenza è la finzione, la fiction per giungere a una versione che si avvicina all’immagine del personaggio più concreta possibile.

Nicola (un efficacissimo Nicola Nocella) dovrà interpretare Lucio Fulci in una pellicola del misterioso regista Saigon. Per interpretare al meglio il personaggio Nicola dovrà incontrare collaboratori, amici e famigliari del regista scomparso nel 1996.

Un film nel film, ma i personaggi che Nocella incontra sono tutti reali, concreti e mostrano tutti i colori di un uomo complesso, un artista tormentato e visionario. Sempre sul gioco dell’ambigua natura della verità e dell’immagine, c’è poi l’autopsia della vita di Lucio Fulci, ripresa per rimandi e situazioni dai suoi stessi film. Intervengono così nel docufilm: le sue due figlie Camilla (che è stata anche sua assistente) e Antonella (custode d’inediti home movies e fotografie), i suoi collaboratori fedelissimi (dal direttore della fotografia Sergio Salvati, al compositore delle colonne sonore Fabio Frizzi), poi Carlo Vanzina, Davide Pulici il cofondatore di Nocturno Cinema.  Ognuno porta un pezzo del puzzle, ognuno con il suo ritratto personale, ognuno con la sua parte del dramma personale del regista. Pochissime immagini prese dalle varie pellicole e tante registrazioni di sue riflessioni, immagini private, completano il profilo di Fulci che ha dovuto convivere con il trauma per il suicidio di sua moglie, un complicato rapporto con le donne (si auto definiva misogino), un infarto e il dramma di vedere una delle sue figlie costretta su una sedia a rotelle in due momenti. Lucio Fulci come marito, padre poco incline alle fotografie e alle esternazioni affettuose, nonno molto presente, “buffo comunista”, intellettuale che prediligeva esprimersi in “romanaccio”, regista prolifico ma anche sceneggiatore della sua stessa vita. Fulci che con le sue storie aveva creato il mito di stesso, proprio come sono in grado di fare i grandissimi.

Scafidi riesce nell’intento di incuriosire lo spettatore scettico offrendo un punto di vista innovativo rispetto alla controversa figura del regista. Presentato in selezione ufficiale alla settantaseiesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, “Fulci for Fake” è un ritratto obiettivo e abbastanza completo dell’uomo dietro la macchina da presa che mette in luce gli aspetti salienti della biografia di Lucio Fulci creando un fil rouge, sino ad ora sconosciuto, tra opera e autore. Il risultato è appassionante, novantadue minuti in cui si rende omaggio all’uomo e il suo cinema, senza avere paura di distruggere il mito, raccontando vizi e virtù della persona divenuta personaggio. Un’opera fondamentale per approfondire o rivalutare un maestro del cinema di genere, il cui mito continua a rafforzarsi con il passare del tempo.

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