Halloween è una “americanata”? Forse, ma regala terrore. Guida ai migliori film horror degli ultimi anni per turbare le notti

by Nicola Signorile

Forse ha ragione Vincenzo De Luca. Halloween è solo un’americanata, come il Mac Donald e la Coca Cola. Come questi brand, capace, per ragioni imperscrutabili, di stregare i bambini di tutto il mondo. Anche se  difficilmente quest’anno vedremo frotte di bambini sciamare per le strade mascherati. Quel che resta – e che in qualche modo accomuna la festività di origini celtica al nostro Carnevale – è il gusto per il mascheramento, il fascino per l’occulto, una certa propensione al nero che attraverso una simbologia ormai arcinota (le zucche dal sorriso macabro, gli spaventapasseri) fa riferimento alle storie di paura.  Qualcuno potrà obiettare che viviamo già un momento di grande tensione, senza bisogno di film horror a terrorizzarci. Quelli che la pensano così possono anche non proseguire nella lettura, per noi di bonculture invece Halloween è il momento giusto per esorcizzare le nostre paure reali ripescando alcuni dei migliori horror degli ultimi anni.

 Il genere, dopo l’abbuffata anni ‘70-’80, ha sofferto una lunga carestia di storie originali. Trame uguali a se stesse, spavento basato solo su banali jumpscare, reiterazione all’infinito di situazioni e personaggi tipici: pensate ai liceali americani in gita o alle case stregate con le porte cigolanti.

La carenza di idee che ha colpito Hollywood non ha risparmiato l’horror, in un affastellarsi di remake/sequel che non ha fatto più paura a nessuno. Ha vinto il cliché, allontanando molto del pubblico conquistato negli anni della carica dissacrante e di critica sociale del cinema dei Romero, Hooper, Carpenter o del terrore all’italiana firmato Fulci, Bava, Argento, Avati. Ma non tutto quel patrimonio è andato perduto: è sopravvissuto carsicamente, riemergendo episodicamente in superficie, spesso dove meno te lo aspetti.

La casa delle bambole

La casa delle bambole (2018) –  In Francia, per esempio, dove è nato Pascal Laugier che nel 2008 con Martyrs sconvolse il pubblico mondiale, toccando vette di martirio e violenza inusitate, sorrette da un sapiente uso del mezzo cinematografico. Meno estremo e ambizioso, ma altrettanto inquietante, è il suo ultimo La Casa delle Bambole – Ghostland, coproduzione franco-canadese che ci trascina nell’incubo di tre donne, una madre e le sue due figlie adolescenti, aggredite da due bizzarre figure nella casa ereditata da una zia nel bel mezzo del nulla. Un viaggio senza bussola nella psiche turbata della giovane Beth, incentrato sul corpo femminile schiavizzato, brutalizzato, reso oggetto e sul potere salvifico della parola scritta (fa capolino anche il leggendario H.P. Lovecraft). Ottime atmosfere, una casa-prigione che rimanda alla saga di Non aprite quella porta e un gruppo di brave attrici al servizio del talento di Laugier, tra le quali la Crystal Reed di Teen Wolf e Gotham, e la cantante Mylène Farmer, la “Madonna francese”, nel ruolo della madre. Non siamo ai livelli di Martyrs, ma La casa delle bambole non lascia indifferenti. 

Citiamo solo pellicole molto conosciute come la riuscita doppietta di Jordan Peele, Scappa Get Out (premiato con l’Oscar alla sceneggiatura) e Noi, Sinister di Scott Derrickson, o produzioni che hanno dato vita a franchise di successo (Insidious) o persino a un multiverso fatto di prologhi e spin-off dedicati a singoli personaggi come L’evocazione – The Conjuring (il capostipite del 2013 contiene una delle migliori scene di esorcismo mai realizzate), questi ultimi entrambi opera del re Mida dell’horror James Wan, autore anche del primo Saw L’enigmista.

Babadook

Babadook (2014) – Dall’Australia nel 2014 è arrivato l’uomo nero. Babadook di Jennifer Kent è uno sguardo allucinato nella vita (e nella mente) di una madre single, impersonata da Essie Davis. Un film che ha diviso e fatto discutere. Profondo, cupo, claustrofobico. Una favola nera sulla lotta quotidiana di una donna alle prese con il figlio problematico e con lo spirito Babadook, l’uomo nero per antonomasia, che viene fuori non a caso da un libro per bambini. Il dramma di una famiglia che va in pezzi, le difficoltà giornaliere che possono spingerti sull’orlo della follia, il disagio e la complessità del ruolo materno: Babadook tira in ballo temi primordiali. E pazienza se il ritmo del film è un po’ lento, alla fine la visione ripaga.

It Follows

It Follows (2014) – Un contatto può essere fatale, è bene stare all’erta, mantenendo una certa distanza. No, il Coronavirus stavolta non c’entra. Ma It Follows è il perfetto racconto dell’orrore nell’epoca del distanziamento sociale. Indiscutibilmente uno degli horror del decennio, uscito nel 2014, scritto e diretto dall’americano David Robert Mitchell, alla prima esperienza nel genere. Il sesso tra adolescenti è sempre stato causa di morte rapida nel cinema Usa. Il piacere stavolta è veicolo di una maledizione invisibile a cui non si sfugge, amplificata dalla paura atavica di essere seguiti. Cento minuti di pura inquietudine in cui presenze maligne inseguono letteralmente la giovane protagonista Jay costretta a spostarsi continuamente. La provincia è una gabbia, la vita degli adolescenti un groviglio di paure e angosce, la scoperta dell’intimità un veicolo formidabile di ansie. Ma il sesso può essere anche il mezzo di trasmissione di un virus. E quello di It Follows è decisamente terrorizzante.

The VVitch

The VVitch (2015) – Un altro gioiello targato America indie. Robert Eggers con The VVitch ci ha scaraventato nel 1630, in un New England rurale e oscurantista. Una famiglia di contadini accusa la giovane figlia di stregoneria quando il figlio più piccolo scompare misteriosamente. Quest’opera di rara bellezza accompagna lo spettatore in una lenta immersione in una comunità intrisa di superstizione e fanatismo religioso, in cui la donna è vittima prediletta del pregiudizio. Un horror di suggestione adatto a un pubblico che non cerca facili spaventi, diventato un caso cinematografico per il successo di critica e botteghino, a fronte del budget risicato. Uno dei motivi per guardare The VVitch, derivato direttamente da giornali, diari e resoconti giudiziari del XVII secolo, è la minuziosa ricostruzione storica con costumi cuciti a mano, dialoghi che filologicamente rimandano al linguaggio dell’epoca e un abile utilizzo della luce naturale.

Hereditary – Le radici del male

Hereditary – Le radici del male (2018) – L’angoscia è protagonista assoluta del film di Ari Aster, regista al debutto che confermerà le proprie doti nel successivo ambiziosissimo Midsommar. Un film che parla al nostro inconscio attraverso l’elaborazione del lutto di una famiglia che, alla morte della complicata figura materna Ellen, scopre segreti inquietanti legati alla propria discendenza. Traumi famigliari, malattia mentale, rapporti disfunzionali e violenza repressa. Una cappa soffocante avvolge casa Graham, il disagio inghiotte lo spettatore sin dalle prime inquadrature. Su tutto, l’interpretazione maiuscola di Toni Collette (Il sesto senso), nel ruolo della figlia Anne. Aster lavora per accumulazione di suggestioni (satanismo, bambini, case stregate) fino a un finale sorprendente.

Apostolo

Apostolo (2018) – Se vi piacciono le storie basate sulla psicosi collettiva e ambientate in piccole comunità fanatiche, non potete perdere Apostolo del gallese Gareth Evans, regista poi dell’acclamata serie Gangs of London. Non certo un horror tradizionale, ma un racconto in cui un senso di angoscia avvolge inesorabilmente. Atmosfere disturbanti caratterizzano il viaggio in incognito del missionario Thomas Richardson su un’isola lontana nel tentativo di riportare a casa la sorella rapita da una setta religiosa, guidata dal profeta Malcolm e adoratrice di una misteriosa dea. The Wicker Man di Robin Hardy incontra il soprannaturale in un mix potente. Ottimo il cast britannico, in primis il protagonista Dan Stevens – ricordate il gentiluomo Matthew Crawley di Downton Abbey ma anche lo schizzato supereroe controvoglia della serie Marvel, Legion – poi il folle predicatore di Michael Sheen e la bella Lucy Boynton (Bohemian Rapsody).

The Guest

The Guest (2014) Dan Stevens è anche il protagonista di The Guest di Adam Wingard, autore (anche dell’ottimo You’re next nel 2011) che dopo questa pellicola, presentata al Sundance, venne scelto per realizzare Blair Witch, il sequel di The Blair Witch Project. Il soldato David, reduce dall’Afghanistan, si insinua nella routine di una famiglia spezzata dalla morte del figlio maggiore Caleb. David afferma di essere il suo miglior amico, di aver condiviso con lui l’esperienza della guerra e viene accolto come gradito ospite in casa Peterson. Naturalmente niente è come sembra. Con The Guest ci si inoltra nei territori del thriller psicologico. Una sceneggiatura basic per una pellicola che si fa apprezzare per i continui cambi di registro e genere (azione, thriller fino allo slasher) e per l’impressionante performance dell’attore inglese, capace con pochi tocchi di passare dal classico ragazzone americano al sanguinario mietitore di anime.

The Host

The Host (2006) – L’Estremo Oriente è tappa obbligata per gli amanti del genere. The Host è il terzo film dell’oggi celebratissimo Bong Joon-Ho. L’autore di Parasite lo girò dopo lo strepitoso Memorie di un assassino, mostrando già nel 2006 la predilezione per le famiglie di losers e un talento visivo non comune.  La lotta contro un terribile mostro marino è un grande classico del b-movie asiatico: qui è lo spunto per parlare di ambiente e geopolitica, di ingerenze americane e governi sottomessi, con un continuo e repentino cambio di registro tra commedia, azione, dramma, sci-fi, che è un tratto distintivo di Bong Joon-Ho.  Nel cast la star del cinema coreano Song Kang-ho, il padre di famiglia di Parasite, ma protagonista, tra gli altri, di A Taxi Driver, Snowpiercer e Memorie di un assassino. Ma la Corea non produce solo mostri.

Goksung – La presenza del diavolo

Goksung – La presenza del diavolo (2016) – Il film di Na Hong-jin è un concentrato di simboli, tematiche ed elementi tipici dell’horror. Un villaggio sudcoreano è sconvolto da alcuni omicidi violenti, che la comunità addossa a un misterioso giapponese da poco arrivato in paese; alcuni gli attribuiscono addirittura poteri maligni e sovrannaturali. Un poliziotto locale è incaricato dell’inchiesta mentre si susseguono avvenimenti inquietanti, tra cui una grave malattia contagiosa e una possessione demoniaca. Esorcismi, sciamani, zombi, spiriti maligni, per un giallo/horror sensazionale presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2016.

Train to Busan

Train to Busan (2016) – Lo zombie movie non può mancare all’appello. E Train to Busan di Yeon Sang-ho ne è uno dei migliori esempi negli ultimi anni. Una escalation di tensione e paura nel viaggio da Seoul a Busan di un pugno di personaggi asserragliati nelle carrozze di un treno mentre per le strade della Corea si scatena l’inferno. Un virus di origine ignota che trasforma le persone in zombi si diffonde rapidamente, costringendo il governo a drastiche misure. La lotta per la sopravvivenza dell’agente di borsa Seok-woo e di sua figlia è un’avventura mozzafiato. Grande costruzione della tensione, personaggi tratteggiati con cura, alcune scivolate nel sentimentalismo che non guastano un meccanismo di perfetto intrattenimento horror. A quattro anni da Train to Busan, presto (si spera) vedremo in Italia il sequel Peninsula, diretto ancora da Yeon Sang-ho e uscito a luglio 2020 in madrepatria.

E l’Italia? Tre indizi fanno una prova. Tre film per segnalare il lento risveglio dell’horror di casa nostra, uno di un autore affermato e due esordi di “ragazzi” appassionati.

Il Signor Diavolo

Il Signor Diavolo (2019) –  È tornato al genere Pupi Avati con il convincente Il Signor Diavolo, un ritorno sui suoi passi alle atmosfere e ai temi del suo cult La casa delle finestre che ridono, di cui ripesca anche due degli interpreti, Gianni Gavina e Lino Capolicchio. La storia tratta da un romanzo dell’autore bolognese (ma con un diverso finale) è ambientata negli anni ’50 nella provincia veneziana. L’ispettore Momenté (Gabriel Lo Giudice) è inviato dal governo a sbrogliare una matassa intricata:  l’omicidio di un ragazzo da parte di un coetaneo, convinto di aver ucciso il diavolo sta alzando un polverone, la Chiesa e i vertici del partito vogliono che tutto sia messo a tacere. La verità sembra interessare solo al protagonista, alle prese con un mondo antico animato da arcaiche credenze e figure inquietanti. Per citare Avati, una di quelle storie di paura che una volta si raccontavano la sera accanto al fuoco nelle case di campagna. 

The Nest

The Nest (2019) – L’epifania di un talento. Un piccolo caso cinematografico uscito a Ferragosto dell’anno scorso, quasi in contemporanea con Il signor diavolo. Un’opera che turba e attrae, punta su atmosfere e tensione più che sull’orrore vero e proprio,  gioca a nascondino con lo spettatore con un gran lavoro su ambienti e costumi, una eleganza rara nella messa in scena, attori con le facce giuste e musiche perfette di Teho Teardo. Tanti i riconoscimenti per il film: miglior esordio horror italiano al box office, una nomination ai Nastri d’Argento per il regista barese, diritti per remake Usa già acquisiti da Gotham Group. La stoffa c’è, si era già notata nel 2009 con il feroce corto Ice Scream, girato in coppia con Vito Palumbo. Ora aspettiamo fiduciosi A Classic Horror Story, opera seconda che De Feo ha girato (con Paolo Strippoli) in Puglia per Netflix.

Il legame

 Il legame (2020) – Dalle radici arcaiche della Puglia trae origine Il Legame di Domenico De Feudis, che utilizza al meglio il territorio e la ruralità per creare un impianto horror universale. Francesco per la prima volta porta la compagna Emma e la figlia di lei, Sofia, in Puglia a conoscere la famiglia, che vive in un’antica villa tra gli ulivi. Viaggio nello spazio e nel tempo verso un passato di ritualità ancestrali e maledizioni, a cui Teresa, la madre presunta “guaritrice” cerca di opporsi. L’esordiente regista, originario di Trani, assistente alla regia di Paolo Sorrentino in Loro 1 e 2 e La grande bellezza, dosa bene gli elementi, mescola il folklore meridionale con suggestioni da J-horror, ripesca elementi del tarantismo, guarda al Demonio di Brunello Rondi e a Non si sevizia un paperino di Fulci. Tutto funziona almeno per tre quarti di film, con una parte finale un po’ già vista. Da segnalare, un inedito Riccardo Scamarcio horror (qui anche produttore) e la Mia Maestro di The Strain e Alias.

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