I quattrocento colpi, il capolavoro di François Truffaut

by Marianna Dell'Aquila

Di solito quando si parla di un film si incomincia proprio dal suo inizio. Si spiega chi è il regista e si racconta qual è la storia. Invece in questo caso è tutto il contrario, perché la verità di quello che vogliamo raccontare è racchiusa tutta nei quattro minuti del finale quando vediamo un bambino di 13 anni, Antoine Doinel, correre verso il mare alla ricerca della sua libertà. Chissà se François Truffaut quando ha girato I quattrocento colpi avrebbe mai immaginato che il suo film sarebbe diventato un manifesto della ribellione, un inno alla libertà. Un film che, a distanza di esattamente sessanta anni dall’uscita nel 1959, è ancora una delle pellicole indiscutibilmente più belle della storia del cinema.

Nato inizialmente come progetto di cortometraggio di appena venti minuti, I quattrocento colpi è considerato una pietra miliare del cinema internazionale, il manifesto della Nouvelle Vague francese, quel movimento culturale e cinematografico che già a partire dagli anni ’50 ha completamente stravolto il modo di fare cinema e di pensare al ruolo del regista. In pochi, prima di allora, avevano considerato il cinema come vera forma d’arte e il film non solo come un’opera d’arte, il mezzo che un regista utilizza per esprimere una sua poetica e per raccontare il proprio immaginario. Gli intellettuali della Nouvelle Vague sono stati i primi infatti a pensare alla figura del regista come autore, al film come un testo che prende la forma di un racconto fatto con immagini in movimento e che è il frutto di un’estetica autoriale nata dall’esperienza e dalla soggettività del regista.

Jean-Pierre Léaud e François Truffaut sul set

Nonostante Truffaut abbia sempre detto che I quattrocento colpi non era un film del tutto autobiografico, in molti hanno riconosciuto nel piccolo Antoine Doinel il suo creatore. Il regista francese infatti è forse quello che più di tutti in quell’epoca storica ha mostrato come si possa lavorare sulla propria vita, sulle proprie passioni e sulle proprie emozioni trasformandole in qualcosa di universale. I quattrocento colpi è ancora oggi considerato dalla critica come uno dei film necessari da vedere in età adolescenziale, perché ci racconta l’ansia di vivere tipica di quell’età, la voglia di autodeterminazione e di riconoscimento di se stessi attraverso la conquista della propria libertà. 

Il titolo italiano tuttavia è la traduzione letterale dal francese del titolo Les quatrecent coups e in realtà fa perdere il vero senso di questa espressione che nella lingua originale significa “fare il diavolo a quattro” oppure “essere ribelle”. La storia è ambientata a Parigi. Qui Antoine vive con i genitori che però non sono attenti a lui e osservano con molta distrazione i turbamenti e l’irrequietezza del figlio adolescente. Antoine mostra il suo disagio in tutti i modi, soprattutto marinando la scuola per andare al cinema e leggere libri. Il suo unico amico è René e, per trovare i soldi per fare una gita al mare insieme a lui, escogita il furto di una macchina da scrivere che però non va a buon fine. Antoine trascorre una notte in carcere tra ladri e prostitute e, per volontà della madre, viene mandato in un riformatorio che si trova poco lontano da mare. Qui, durante una partita di calcio, Antoine decide di scappare via e di correre proprio verso quel mare che non aveva ancora mai visto.

I quattrocento colpi è anche il film che ha sancito uno dei sodalizi più importanti del cinema mondiale, quello tra François Truffaut e Jean-Pierre Léaud che avrebbero lavorato insieme anche in Baci rubati (1968), Non drammatizziamo…è solo questione di corna (1970), Le due inglesi (1971), Effetto notte (1973) e L’amore fugge (1979).

Marianna Dell’Aquila

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.