“Il condominio dei cuori infranti”, le cronache d’asfalto degli eroi disastrati e gentili della periferia parigina

by Giuseppe Procino

In una palazzina nella periferia parigina, un altrove dove non cade l’ombra della bellezza della ville Lumière, un luogo lontano dall’eccezionale, si muovono le esistenze di personaggi abbandonati al loro destino.

C’è Sternkowtiz, costretto su una sedia a rotelle da un infarto dopo aver rinunciato all’ascensore condominiale, Charly, che condivide l’appartamento con il fantasma di sua madre e Hamida, originaria dell’Algeria che attende che suo figlio esca dal carcere. Eppure le vite di questi personaggi non sono risolute, sono destinate al cambiamento. Gli basta tendere la mano, dire semplicemente “ciao”, aprirsi verso l’altro per scoprire che la vita è lì fuori, che basta pochissimo per non sentirsi soli e ricominciare a sorridere. Un’ infermiera, un’attrice in crisi e un astronauta riscriveranno il copione dei tre protagonisti, rompendone la monotonia semplicemente scoprendo che la gentilezza può essere contagiosa.

Forse il titolo italiano di questa commedia surreale non fa altro che innalzare le aspettative nello spettatore verso una pellicola di altro genere. “Il condominio dei cuori infranti”, ci lascia presagire di essere di fronte ad un film romantico ma la vera sorpresa sta proprio nel ritrovarsi piacevolmente spiazzati. Ad essere onesti “asphalte” il titolo originale, si dimostra più eloquente di quello italiano, denudando da subito le ambizioni di questo meraviglioso film francese del 2015.

Alla base c’è un romanzo, ormai introvabile, dello stesso Samuel Benchetrit, “Le cronache dell’asfalto”, che altro non è che un atto d’amore dovuto per gli eroi disastrati che hanno popolato l’infanzia e l’adolescenza del regista. È l’asfalto il comune denominatore di una periferia abbandonata, tenuta nascosta, dove vivono nascoste le figure marginali di una Parigi non turistica, lontana dalle pietre antiche che ricoprono le strade di Mont Martre, dove il ferro è coperto da cemento decadente. Fredda, asettica ma con un enorme e variopinta umanità combattente. Allora sì, potremmo comunque dire che al centro di questo film vi è comunque l’amore, inteso come empatia, come desiderio dell’incontro con l’altro, un amore contagioso, semplice eppure complicato, in grado di superare l’incomunicabilità tra due lingue diverse solo se ci si impegna, se non si desiste. Giocando su più registri, senza mai lasciarsi andare sino in fondo verso la commedia o il drammatico, Benchetrit realizza un’opera che è poesia leggera, racconto incantevole e incantato della vita dell’uomo comune, vita che va vissuta e non osservata dallo spazio. Bisogna lasciare che l’altro ci contagi con la sua esistenza che è unica e quindi importantissima. È così che nascono le storie. Benchetrit, la cui vita sembra davvero un romanzo di formazione, lo sa bene ed è per questo che tratta il tutto con i guanti di velluto.

Questa intenzione di voler raccontare con delicatezza estrema e dissacrante ma garbato humor delle storie che sono sorprendenti nella loro semplicità diventa un fil Rouge travolgente, generando di fatto una scrittura perfetta, emozionante come pochissime volte nel cinema degli ultimi anni.

La sceneggiatura è indubbiamente uno dei punti di forza di “Asphalte” e si concretizza in maniera efficace e convincente attraverso una regia equilibrata, che sceglie il movimento solo quando è strettamente necessario e ci mostra l’universo dei protagonisti attraverso il formato 4/3, quasi una finestra spalancata sulle vite che si incontrano e si scontrano in questa palazzina delle banlieue francesi. I protagonisti, interpretati davvero tutti in maniera convincente, altro non sono che le maschere delle umanità che ci circondano, personaggi che la vita contemporanea isola. Questa pellicola ci suggerisce che possiamo combattere il nostro individualismo, cadere sulla terra, lasciarci coinvolgere dalle vite degli altri e rendere il mondo un posto più bello.

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