« Le storie non vengono da sole, bisogna andarle a cercare nel mondo». Salvatore De Mola in masterclass all’ABC di Bari

by Anna Maria Giannone

“Lo sceneggiatore non è uno scrittore; è un cineasta e, come tale, non deve rincorrere le parole, bensì le immagini. Deve scrivere con gli occhi”, così Suso Cecchi d’Amico sintetizzava il significato di un mestiere che oggi vive un momento di grande vivacità, con il proliferare di storie che le piattaforme streaming offrono a spettatori sempre più voraci e attenti. Ai segreti di questa professione è dedicata la masterclass gratuita che lo sceneggiatore Salvatore De Mola terrà il 5 e 6 ottobre al Cinema ABC di Bari

L’head writer barese, Premio David di Donatello e Premio Solinas, racconterà a una classe di 20 partecipanti gli aspetti più importanti legati alla teoria e alla pratica della scrittura di una sceneggiatura, spiegando cosa significhi scrivere un film, come si diventi sceneggiatori, che differenza ci sia fra scrivere un film e un episodio di una serie ma anche quali siano le possibili strade di accesso al mestiere. Una masterclass che partirà dall’esperienza personale dello sceneggiatore, un percorso che lo ha portato da Bari a Roma, dove è riuscito a realizzare quel sogno coltivato fin da ragazzo. Sceneggiatore fra i più impegnati del cinema italiano, De Mola ha lavorando alla scrittura di film come La stoffa dei sogni (2016) di Gianfranco Cabiddu, David di Donatello 2017 per la miglior sceneggiatura adattata; Fango e gloria (2014, candidato ai Globi d’oro 2015 come miglior film e Nastro d’Argento speciale 2015), Noi eravamo (2017) e Il destino degli uomini (2018) di Leonardo Tiberi, Wine to love – I colori dell’amore (2018) di Domenico Fortunato e Mio cognato (2003) di Alessandro Piva, ma anche a tante serie di grande successo, come il Commissario Montalbano, che lo ha visto coinvolto per ben undici stagioni o, ancora, Bastardi di Pizzofalcone, Makari, Imma Tataranni Sostituto procuratore.

Sostenuto dal Teatro Pubblico Pugliese questo appuntamento rientra nel progetto di riapertura del Cinema ABC di Bari, finalmente restituito alla città e di nuovo pronto a diventare punto di riferimento per la cultura cinematografica del capoluogo pugliese, non solo per la programmazione di qualità ma anche per la promozione di appuntamenti come questo, dedicati all’approfondimento del linguaggio audiovisivo e dei suoi tanti aspetti.

Abbiamo intervistato Salvatore De Mola alla vigilia dell’avvio della masterclass cui si accompagnerà una rassegna di quattro film da lui sceneggiati.

Partiamo dal suo percorso personale. Quando ha deciso che voleva diventare uno sceneggiatore e come ha portato a compimento questa sua ambizione?

Dal momento in cui ho capito che i film si scrivevano ho pensato che volessi farlo, però vivendo a Bari in un periodo fra gli anni ‘80 e ‘90 era un percorso impossibile: tutto quello che la Puglia è adesso allora non esisteva. L’unica possibilità per chi volesse fare lo sceneggiatore allora era andare a Roma per frequentare il Centro Sperimentale o comunque provare a lavorare senza certezze. Io non potevo farlo perché non avevo alle spalle un benessere familiare che mi consentisse di andare all’avventura, tenendo presente anche che non c’era tutta la produzione di serialità televisiva che c’è adesso. L’unica possibilità era il cinema, ma non erano poi tante le produzioni italiane in quel periodo. Una congiuntura non proprio favorevole per cui sono rimasto a Bari, ho lavorato per la Casa Editrice Laterza fino a che non ho scritto una sceneggiatura assieme ad Alessandro Piva e ho partecipato al Premio Solinas.

Come è andata?

Siamo arrivati per due anni di seguito finalisti, questo mi ha reso più sicuro. La seconda sceneggiatura è diventata poi il film di Alessandro Piva Mio Cognato. Nel 1997 c’è stata la possibilità di partecipare a un corso Rai per sceneggiatori, nel frattempo eravamo nella ella seconda metà degli anni 90 e grazie alla Piovra, Un medico in famiglia” e altre serie di successo anche in Italia si apriva la strada alla serialità televisiva. Così a 30 anni e mi sono deciso a provare questa strada, se non l’avessi fatto mi sarei pentito per tutta la vita. Ho messo l’essenziale nella mia macchina e son venuto a Roma, senza più tornare. Un paio di anni dopo ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura del Commissario Montalbano.

Come si impara oggi questo mestiere?

Adesso ci sono tanti modi, quando ero ragazzo io l’unica possibilità per entrare dalla porta principale in questo mestiere era Il Centro Sperimentale di Cinematografia. Il Centro rimane ancora oggi una delle realtà europee più importanti nella formazione ai mestieri del cinema e della televisione ma oggi ci sono anche tante altre possibilità, penso alla Scuola Volontè e alla Luiss a Roma, ai corsi dell’Università Cattolica a Milano, alla Scuola Holden a Torino. Il mercato audiovisivo è così ricco e variegato che la necessità di storie è diventata sempre più forte, c’è bisogno di chi le scriva e quindi ci sono molte possibilità di formarsi. Ovviamente il mercato non ha possibilità illimitate, ma rispetto a quando sono cresciuto io ci sono molte più possibilità.

Al di là dei percorsi formativi strutturati ci sono qualità che chi si approccia a questo mestiere deve trovare dentro di sé? Delle caratteristiche imprescindibili per diventare un bravo sceneggiatore?

Di certo non può mancare la curiosità. Le storie non vengono da sole, bisogna andarle a cercare nel mondo, vengono dagli incontri, dalle situazioni che vivi, dai casi della vita. Non c’è niente di più importante. Poi la testardaggine, non bisogna arrendersi al primo ostacolo, questo mestiere ha tempi lunghi. La prima versione della sceneggiatura di Mio Cognato l’ho scritta nel 93, il film è uscito nel 2001: non ci si possono aspettare risultati dall’oggi al domani, bisogna lottare fino alla fine. La terza cosa è lo studio, non quello dei manuali ma la lettura di romanzi, racconti, la letteratura ci insegna la tecnica per raccontare, il modo di relazionarsi ai personaggi e alle storie. E poi ovviamente vedere tante tante ore di film, serie, per sapere cosa hanno fatto gli altri prima di te. Ovviamente non puoi sfornare idee se non sai se quella stessa idea è stata utilizzata prima da qualcun altro.

Le forme della narrazione sono in continua evoluzione. In che momento ci troviamo?

Credo che siamo in un momento in cui la solita affermazione “Il pubblico è fatto di bambini” riferita alla malleabilità di spettatori facilmente abbindolabili non vale più. Nel periodo del lock down abbiamo guardato tutti tantissime serie, anche cose complicate che in altri momenti non avremmo scelto. Siamo in un punto in cui possiamo sperimentare e osare di più, non abbiamo più alibi, il pubblico ha uno sguardo più allenato e questa è una sfida importante per noi che dobbiamo scrivere.

Nella masterclass affronterà anche le specificità della scrittura per il cinema e per la televisione. Quali sono le differenze principali fra la sceneggiatura di un film e quella di una serie?

In realtà non c’è tutta questa differenza. Durante la masterclass faremo esempi diversi, tratti da film e da serie, ma io credo che la grande differenza sia legata fondamentalmente alla questione della durata. Un film dura al massimo due ore per cui è necessario contrarre la narrazione e fare delle scelte. Nella scrittura seriale si ha la possibilità di raccontare in maniera più distesa delle cose e questo aiuta a sviluppare le psicologie dei personaggi, anche di quelli più che secondari. Un film è un racconto, la serie è un romanzo. Nella serie puoi avere spazio per addentrarti in digressioni o aprire argomenti diversi. Per me, ad esempio, Mad Man è paragonabile a uno dei grandi romanzi dell’America degli anni 60, I Soprano è il romanzo della decadenza della civiltà americana. Attraverso le serie credo si possa raccontare maggiormente la società rispetto a quanto si possa fare in un film. I film sono diventati uno spazio quasi solo spettacolare, pensiamo che i film più visti sono quelli dei super eroi. Le serie possono affrontare argomenti legati a un consumo anche meno immediato.

Nel suo percorso ha scritto davvero tante storie, ce n’è qualcuna a cui è legato particolarmente?

Devo dire che La stoffa dei sogni è una storia che ho molto amato e a cui devo tantissimo. Quando avevo 31 il regista venne da me e mi propose di riscrivere La tempesta di Shakespeare in napoletano adattando L’arte della commedia di De Filippo. Prima di me in tanti erano scappati da questa idea, ma io nella totale inscienza mi sono buttato e alla fine ho avuto ragione. Anche Mio cognato è stato un film in cui ho creduto molto, un film che a mio avviso poteva avere un risultato migliore per tante ragioni. Poi, come si dice in questi casi, la storia più bella la devo ancora scrivere.

Quale storia è rimasta nel cassetto?

Vorrei scrivere il primo soggetto in assoluto che ho immaginato, la sceneggiatura arrivata al Premio Solinas all’inizio del mio percorso. Era una storia che partiva dall’esperienza di mio padre, operaio in una fabbrica di biliardi a Bari che negli anni ’70 era stata occupata. La cosa che sento più forte in questa storia è la mia condizione di bambino obbligato ad essere adulto, viste le difficoltà della nostra famiglia. Mio padre occupava una fabbrica dove c’erano un sacco di giochi, biliardi, tavoli da ping-pong, e noi bambini a casa non potevamo avere nulla; loro tornavano piccini mentre noi eravamo costretti a crescere prima del tempo. È una storia che mi tocca molto da vicino e forse per questo non l’ho ancora scritta.

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