Maledetto Modigliani, il viaggio imperdibile in docu-film nell’universo di uno degli artisti più amati di sempre

by Michela Conoscitore

Sembra un’impresa difficile raccontare un’artista al cinema: per quanto sia un mezzo espressivo che riesce a toccare vari e differenti registri narrativi, le parole sembrano sempre più efficaci, affiancate alle creazioni artistiche, nel raccontare un pittore o un creativo, nel senso più ampio del termine. Eppure Maledetto Modigliani, diretto da Valeria Parisi, smentisce questa percezione anche leggendo i dati del box office che vedono il docu-film ai vertici dei più visti in Italia negli ultimi giorni.

Dopo la mostra di successo dedicatagli dalla sua Livorno, Maledetto Modigliani è arrivato nelle sale cinematografiche per soli tre giorni, prodotto da Nexo Digital in collaborazione con Sky Arte si inserisce nelle iniziative che celebrano il centenario della morte dell’artista, e racconta il genio di Modì attraverso una voce nuova, anzi intima, quella dell’ultima compagna del pittore, Jeanne Hébutherne. Come ha raccontato la regista, in corso d’opera insieme ad Anna Marelli e Didi Gnocchi, autrici di sceneggiatura e soggetto, si sono chieste chi avrebbe potuto raccontare Dedo, spogliandolo di quell’aura da maledetto e lasciandolo nudo nella sua grandezza di artista incompreso.

La voce di Jeanne Hébutherne accompagna lo spettatore nel ripercorrere, in ogni aspetto significativo, la vita di Modigliani e lo fa in modo affabulatorio, guidandolo alla scoperta di un’artista che se dai coevi è stato sottovalutato, dai contemporanei è stato frainteso. Quando si carica un’artista di un’aura cupa e misteriosa, lo facciamo più per noi stessi, per cullarci nella standardizzazione di un personaggio che altrimenti non comprenderemmo a pieno. Ecco per capirlo, Modigliani ha bisogno di essere studiato, osservato, analizzato in ogni aspetto perché altrimenti, ciò che ne verrebbe fuori, è un ritratto senza occhi, come i suoi famosi quadri.

La superficialità, una qualità che non gli apparteneva: lui ha sempre cercato di andare a fondo nelle cose e nelle persone e se gli occhi erano una caratteristica che, spesso, non dipingeva era per dare la possibilità al soggetto ritratto di ritirarsi in se stesso e osservarsi, lasciando così chi, dal di fuori, ammira quella raffigurazione di chiedersi il perché su di un’anima che non svelerà mai il proprio segreto.

A raccontare Modigliani, oltre alla compagna Jeanne, ci sono tra gli altri Marc Restellini, il maggior esperto al mondo dell’artista livornese, il regista Paolo Virzì, lo stilista Antonio Marras e Guido Servi, vicepresidente della comunità ebraica di Livorno. Proprio Virzì, ha detto nel corso del docu-film: “Nella sua pittura c’è qualcosa di arcaico e di ultramoderno, tutto vero e tutto sognato, inventato”. Non si sa, infatti, se quando si osserva un quadro di Modigliani si rimane ancorati alla realtà oppure se le opere dell’artista sono in grado di trasportarti nel suo mondo, costituito da sostrati artistici ed emotivi molto complessi.

Il docu-film mette in evidenza come la componente ebraica sia un elemento importante nell’avventura di Dedo, che iniziò nel 1884, anno della sua nascita a Livorno; ammalato di tifo, Eugenia Garsin giurò che se il più piccolo dei suoi figli si fosse salvato, l’avrebbe incoraggiato a perseguire il suo destino d’artista. E così fu: la famiglia Modigliani, tra le più in vista di Livorno nella comunità ebraica, era costituita da membri colti e illuminati. Modigliani, quindi, crebbe in questo ambiente famigliare e culturale, all’interno del quale apprese il francese, grazie sempre alla madre originaria di Marsiglia. Da esponente colto e apprezzato di una famiglia di ebrei, dopo varie esplorazioni di città in Italia, l’artista approda a Parigi: qui gli ebrei erano già perseguitati, vivevano sottotono, provando a non destare troppa attenzione. Ed è questa una caratteristica che si lega a quella della vita d’artista poiché la Ville Lumiere in quegli anni attirava troppi pittori, e non tutti riuscivano a trovare ispirazione, o semplicemente, di che vivere.

Grazie a varie personalità che lo sostennero nella propria ricerca artistica come Jonas Netter e Paul Alexandre, Modì diede vita ad un corpus di opere che conta più di quattrocento quadri, trenta sculture e circa tremila disegni. L’imponenza non deve ingannare perché, in vita, riuscì a vendere pochissimi dipinti che tra l’altro gli fruttarono solo dieci franchi, e la sua prima personale riuscì ad organizzarla soltanto nel 1917, era arrivato a Parigi nei primi del Novecento. Mostra che fu chiusa il giorno della sua apertura perché giudicata sconveniente per i nudi di donna esposti. Lottò sempre Modigliani, con lieve pervicacia, non soltanto contro il gusto del pubblico, allora abituato alla pienezza impressionistica, ma anche con se stesso, con la sua salute cagionevole e con l’esplorazione artistica che fu, sempre, instancabile. Guidata, quest’ultima, come narra il documentario, anche dall’uso di droghe, dall’oppio all’assenzio che gli dispiegavano mondi altri difficilmente raggiungibili. Le donne poi, ne amò molte, e loro amarono lui: non solo Jeanne, anche la poetessa Anna Achamtova e la giornalista Beatrice Hastings.

Molti lo apprezzarono come l’amico e pittore Chaim Soutine, che Modigliani ritrasse spesso, Picasso, emigrante dell’arte come lui, con il quale condivise la passione per il primitivismo che, nella cifra stilistica dei due artisti, divenne la peculiarità che li ha resi rivoluzionari. Se il primitivismo del pittore di Malaga era razionale e spigoloso, quello di Modì era dolce e sensuale: i corpi di donna nudi, distesi o retti in posizioni morbide, donne vestite che scrutano quasi con sberleffo l’osservatore, come uno dei tanti ritratti dedicati a Jeanne, i numerosi amici. Modigliani aveva la capacità di ritrarre l’anima, gli aspetti più fragili di una persona non intaccandone il segreto. Accanto al primitivismo, però, egli mise a frutto anche la propria italianità, poiché in alcune opere sono ravvisabili echi della pittura classica del nostro Paese, come quella rinascimentale.

Il racconto termina col finale tragico che sappiamo, Modigliani morì il 24 gennaio del 1920 dilaniato dalla tubercolosi. Jeanne Hébutherne si suicidò due giorni dopo, gettandosi dalla finestra di casa dei suoi genitori al quinto piano, incinta di otto mesi non riuscendo a sopravvivere all’idea di una vita senza il suo Dedo.

Maledetto Modigliani è un viaggio imperdibile nell’universo non soltanto creativo ma anche nella vita di un’artista tra i più rappresentativi dell’arte mondiale del Novecento.

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