Ottanta anni de “Il Grande Dittatore”, come Charlie Chaplin prese in giro il Nazifascismo

by Marianna Dell'Aquila

Ufficiale Schultz: “Che strano. Avevo pensato che tu fossi ariano”.
Barbiere ebreo: “Sono vegetariano”.

Siamo nel pieno della Prima Guerra Mondiale e queste sono le battute tra un barbiere ebreo e un ufficiale tedesco appena sopravvissuti ad un incidente aereo. Sono anche tra le primissime battute del copione de Il grande dittatore il film di Charlie Chaplin uscito nel 1940 che, dopo esattamente 80 anni può essere considerato uno dei film più coraggiosi che siano mai stati realizzati contro in Nazifascismo.

La storia incomincia durante la Grande Guerra e ha come protagonista un barbiere ebreo (Charlie Chaplin) che sta combattendo sul fronte. Durante la fuga, il barbiere riesce a salvare l’ufficiale tedesco Schultz, ma l’incidente provoca in lui un lungo periodo di amnesia durante il quale ricorderà solo di avere una bottega nella zona del ghetto. Il ricovero è molto lungo e nel frattempo in Europa le cose sono cambiate. I tedeschi hanno perso la Prima Guerra Mondiale e il popolo è provato dalla fame e dalla miseria. Adenoid Hynkel (Adolf Hitler) è salito al potere e studia l’annessione dell’Ostria (l’Austria) alla Tomaia (la Germania) cercando di distrarre il popolo con un nuovo e immaginario nemico: gli ebrei. In Italia anche Benzino Napaloni (Benito Mussolini) cerca di consolidare il suo regime stringendo alleanza con i tedeschi per la conquista dell’Ostria. L’ufficiale Schultz però si rifiuta di partecipare al piano e, dopo essere stato cacciato dall’esercito e aver cospirato insieme ad alcuni abitanti del ghetto per liberarsi del dittatore, viene imprigionato in un campo di concentramento insieme al barbiere. Dopo un po’ i due uomini riescono a scappare e questo provoca una vera e propria caccia all’uomo da parte dei nazisti. Intanto il piano per l’occupazione dell’Ostria viene messo a punto e prevede che Hynkel si travesta da cacciatore di anatre: il suo sparo sarà il segnale per il via all’occupazione. Durante l’attacco però Hynkel cade in acqua e il fatto che non indossi la divisa nazista fa sì che venga scambiato per il barbiere ebreo e quindi imprigionato. Schultz, approfittando dell’incredibile somiglianza tra Hynkel e il barbiere, decide di far crede a tutti che il barbiere sia in realtà il dittatore e lo convince a parlare pubblicamente a tutto il popolo tedesco. Il Barbiere non ha preparato nulla, ma preso dall’improvvisazione si lascia andare ad un discorso sulla libertà, l’uguaglianza e l’amore che viene acclamato dal popolo nello stesso identico modo dei discorsi del suo predecessore.

Chaplin depositò la sceneggiatura de Il grande dittatore nel 1938 a pochi giorni di distanza dalla famosa Notte dei cristalli durante la quale i nazisti avevano dato via al feroce rastrellamento degli ebrei in Germania, Austria e Cecoslovacchia. Il regista ricevette da subito pressioni affinché non girasse il film per non creare problemi con l’Europa, ma credeva talmente tanto al suo progetto che si fece carico di quasi tutto il costo della produzione (circa due milioni di dollari, una cifra enorme per quel periodo) e molti anni dopo ammise: “Io ero deciso a portarlo a termine, avessi anche dovuto noleggiare personalmente le sale da proiezione”.

Il primo Paese in cui il film venne proiettato infatti fu l’Inghilterra nel 1941, mentre in Italia il regime fascista lo vietò con la disposizione di “ignorare la pellicola propagandistica di quell’ebreo di Chaplin”. Nel nostro Paese la prima edizione della pellicola uscì solo nel 1946 e successivamente nel 1960 con una versione censurata in cui erano state tagliate le scene con la moglie di Benzino Napaloni (all’epoca la vedova di Mussolini era l’unico persona citata nel film ancora in vita).

Charlie Chaplin incominciò le riprese del film nel novembre 1939, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra contro la Germania da parte dell’Inghilterra. Sapeva benissimo che la realizzazione del film sarebbe stata difficile e complessa non solo per i delicati equilibri politici e internazionali di quel periodo, ma soprattutto perché alla base del suo progetto c’era la voglia di riflettere sull’assurdità del Nazismo attraverso la derisione della figura più simbolica: Adolf Hitler.

Il regista infatti raccontò di aver analizzato ogni caratteristica del dittatore  per frantumare la sua immagine e restituirne un ritratto comico e buffo utilizzando il suo personaggio più celebre, Charlot. Come infatti ha scritto David Robinson: “A parte i valori intrinseci del film, Il dittatore costituisce un fenomeno davvero unico, un evento epico e senza precedenti nella storia dell’umanità: il clown più universalmente famoso e amato del suo tempo sfidava apertamente l’uomo che aveva causato più orrori e sofferenze di chiunque altro nell’epoca moderna”. La cosa curiosa però è che Charlie Chaplin e Adolf Hitler avevano molte cose in comune: oltre ai caratteristici baffetti (che Chaplin utilizzava soltanto in scena e che gettò via subito dopo aver interpretato Hitler), i due uomini erano nati nello stesso anno e a pochi giorni di distanza nell’aprile del 1889, appartenevano a famiglie povere ed erano stati in orfanotrofio, avevano caratteri schivi, da piccoli avevano avuto velleità artistiche (Chaplin come musicista, Hitler come pittore), ma soprattutto avevano entrambi creduto, da adulti, nel potere dell’immagine e della parola.

Il grande dittatore è stato il film più costoso di Charlie Chaplin e di fatto anche il sua prima pellicola sonora. Può essere considerato il film più importante della sua carriera e una delle pellicole più grandiose e coraggiose di tutta la cinematografia mondiale. Chaplin ebbe il coraggio di prendere in giro il Nazismo in un momento in cui probabilmente il mondo ancora non aveva focalizzato del tutto la sua gravità. Era chiaro che Hitler era uno dei dittatori più influenti e feroci della storia, ma tutto l’orrore di quello che i Nazisti furono realmente capaci di fare emerse solo dopo la loro sconfitta quando, ad esempio, fu scoperta l’esistenza dei campi di concentramento.

Fu anche per questo motivo che molti anni dopo Charlie Chaplin ammise: “Se avessi saputo com’era spaventosa la realtà dei campi di concentramento, non avrei potuto fare Il grande dittatore: non avrei trovato niente da ridere nella follia omicida dei nazisti. Ma ero ben deciso a mettere in ridicolo le loro mistiche scemenze sulla purezza del sangue e della razza”.

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