“Piccole donne” di Greta Gerwig: ragazze non abbiate paura di inseguire i vostri sogni

by Paola Manno

La trasposizione cinematografica di un’opera letteraria è forse, tra le fatiche di un regista, la più ardua. Se poi si tratta di un classico amatissimo e già adattato da grandi cineasti, la sfida è ancora più dura. Ci ha provato Greta Gerwig che a 37 anni ha girato il remake di “Piccole donne”: è, il suo, un film ben fatto, con una costruzione interessante, femminista.

La narrazione viaggia su due binari paralleli e conosciamo le protagoniste da adulte, e solo in seguito da bambine, attraverso lunghi flashback che si intrecciano alla narrazione, e questo è un gran bene perché ci dà la possibilità di conoscere le piccole donne da una prospettiva diversa, alla luce di quello che succederà.

La sceneggiatura è forte, convincente, forse un tantino difficile da seguire per chi non conosce il romanzo, ma in fondo, chi non lo conosce? Ottimo lavoro di scrittura, dialoghi ben elaborati che veicolano un messaggio chiaro: ragazze, non abbiate paura di inseguire i vostri sogni, qualunque essi siano. Quelli di Jo, legati alla scrittura, emergono con forza, ma anche Amy ha un coraggio nuovo nel suo desiderio di diventare una pittrice famosa –la più brava, altrimenti nulla!, e Meg, che sceglie un matrimonio d’amore, mentre Beth rivendica il diritto a una serenità familiare -non è detto che i miei sogni siano meno importanti dei tuoi, sussurra alla sorella.

Numerose rivendicazioni femministe vengono fuori scena dopo scena: Jo ripete che non ha bisogno di sposarsi, che vuole vivere grazie al suo lavoro di scrittrice, ma anche le sorelle sono libere, intraprendenti, molto spigliate e decisamente diverse da quelle delle pagine di Louise May Alcott, che invece sono più timorose, più castigate, meno intraprendenti, come era naturale data l’ambientazione originale durante la guerra di indipendenza.

La Gerwig ha osato un cambiamento forte ma queste nuove protagoniste –troppo simili tra loro nell’orgoglio di essere libere – non convincono, non fosse altro per il fatto che non conservano delle caratteristiche proprie che hanno permesso a generazioni di ragazze di immedesimarsi nella storia, sono altre.  E altro è anche Fritz Bhaer, l’uomo che Jo sceglierà come compagno di vita che nel romanzo è un anziano professore tedesco mentre nel film diventa un giovane affascinante insegnante francese interpretato da Louis Garrel, anche lui, probabilmente, parte dell’operazione commerciale. E’ un film che ho trovato  decisamente hollywoodiano, nel bene, legato all’accuratezza delle scelte tecniche e delle ambientazioni impeccabili, nel bene degli intenti legati al movimento del metoo, proprio da lì dove tutto è partito, ma anche nel male di scelte esplicitamente strategiche, commerciali, prima fra tutte quella di Emma Watson. La talentuosa attrice ha un’interpretazione intensa, ma è decisamente poco credibile nel ruolo della maggiore delle sorelle.

Magistrale e divertente il ruolo di Meryl Streep che interpreta la vecchia zia March, ma ancora più riuscita, io trovo, la scelta del meraviglioso Timothée Chalamet che con la sua interpretazione innalza il giovane Lory a co-protagonista insieme a Jo.  Le movenze, le espressioni, persino la fisicità di Chalamet a me sembrano perfetti per il ruolo del rampollo di casa Laurence . Ecco, io Teddy-Lory l’ho sempre immaginato esattamente così. Ed è probabilmente la bravura dell’attore ed il feeling con la passionaria Saoirse Ronan, che veste i panni di Jo, a mettere al centro della storia il legame amoroso tra i due, che sembra condurre la narrazione.

Infine, da segnalare l’attenzione della regista all’importanza della scrittura (e della narrazione in generale); emozionante, nel finale, la difesa di Jo dei suoi diritti, tra i quali quelli d’autore, e l’immagine dei milioni di libri che pure non vediamo ma certamente lo spettatore si figura chiaramente: una copertina rossa e le lettere dorate “Little women”, un’ode alla scrittura, alla tenacia della creazione.

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