Priscilla la Regina del deserto, l’ironico e irriverente film di Stephan Elliot

by Marianna Dell'Aquila

Ci sono pochi film che riescono a trattare tematiche delicate e complesse riguardanti il mondo LGBT con ironia e dolcezza, riuscendo anche a cristallizzarsi nell’immaginario cinematografico non solo come opere a sfondo sociale. E se oggi pensiamo ad uno dei film che più di altri è riuscito ad occuparsene, ci viene in mente Priscilla la Regina del deserto che proprio quest’anno compie venticinque anni dalla sua uscita nelle sale. Scritto e diretto da Stephan Elliot, il film ha vinto l’Oscar per i Migliori Costumi nel 1995 ed è stato presentato al 47° Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard.

Priscilla la Regina del deserto non  è in realtà il nome di un personaggio, ma di un vecchio torpedone colorato e sormontato da un’enorme scarpa a spillo. Priscilla viene utilizzato da tre attrici per una tournée in giro per l’Australia. Bernadette Bassenger, Mitzi Del Bra e Felicia Jollygoodfellow sono i nomi d’arte di Ralph, Anthony Tick Belrose e Adam Whitely, una transessuale e due drag queen che solitamente si esibiscono nei locali gay di Sidney cantando in playback musiche note come quelle degli ABBA, Gloria Gaynor, Village People, Ritchie Family. Durante il viaggio che le deve condurre al Lasseters Hotel Casino ad Alice Spring, diretto dall’ex moglie di Tick, il furgone si guasta proprio nel bel mezzo del deserto australiano. Bob, un meccanico di larghe vedute, le aiuta ad aggiustare il furgone ed incomincia a maturare una certa simpatia per Bernardette. Arrivate a Alice Springs, Tick scoprirà di avere un figlio di 8 anni che, contrariamente a quanto potesse credere, accetta l’omosessualità del padre con molta maturità.

Iconico, divertente e ironico, ma anche drammatico e sentimentale, Priscilla la Regina del deserto è uno dei film che meglio, negli ultimo trent’anni di cinema, ha saputo parlare al grande pubblico con delicatezza e ironia di un tema che, oggi più che mai, è tornato alla ribalta anche per tristi fatti di cronaca. Ma non è solo un film sull’omosessualità. Priscilla è un’opera che parla di amore e di amicizia come sentimenti universali, che affronta il problema del pregiudizio e della sessualità, di genitorialità e di paternità, ma è anche un film in cui si parla della paura di essere se stessi.

Se da un lato è evidente che il regista Stephan Elliot è riuscito ad affrontare con apparente leggerezza il tema sull’omosessualità, sui transessuali o sulle drag queen utilizzando a volte battute un po’ irriverenti e al limite della volgarità, dall’altro lato è anche vero invece che Bernadette Bassenger, Mitzi Del Bra e Felicia Jollygoodfellow girano l’Australia portando un messaggio che non è solo sull’amore o sull’omosessualità, ma soprattutto sull’arte. Prima ancora che omosessuali, Bernadette, Mitzi e Felicia sono tre artiste libere. Il canto, la danza e il travestimento sono le armi con cui riescono ad abbattere i muri di pregiudizio del pubblico più diffidente, ma sono soprattutto i mezzi per esprimere se stesse e la loro libertà. Non a caso una delle scene più simboliche del film è quella in cui vediamo Felicia che canta un passaggio de La Traviata sul tetto di Priscilla mentre viaggiano nel deserto. Felicia indossa un abito argentato con un enorme strascico che, muovendosi al vento, riflette la luce del Sole.  

Al di là di qualche stereotipo che indubbiamente ritroviamo in Priscilla la Regina del deserto, il film è una delle pellicole per il grande pubblico più riuscite nel suo genere. Non potremo mai scordare gli abiti scintillanti e colorati, le piume eccentriche, le parrucche, i corsetti e gli iconici tacchi a spillo con le paillettes indossati da Bernadette, Mitzi e Felicia.

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