Richard Jewell e l’attacco al potere costituito nel film di Clint Eastwood

by Nicola Signorile

Da eroe nazionale a bubba bomber. La parabola di Richard Jewell raccontata da Clint Eastwood nel suo trentottesimo film dietro la macchina da presa è un vero attacco al potere costituito, un atto d’accusa nei confronti dell’abuso di potere legittimato.

A quasi novant’anni – li compirà a maggio – il regista californiano sforna l’ennesima grande opera, basata sulla storia vera di un eroe della porta accanto messo alla gogna da investigatori superficiali e media cinici, un’odissea umana raccontata da un articolo della giornalista Marie Brenner su Vanity Fair intitolato American Nightmare: The Ballad of Richard Jewell, dal quale il candidato all’Oscar Billy Ray ha tratto la sceneggiatura.

Richard Jewell (Paul Walter Hauser) è un trentenne in sovrappeso che vive con la madre Barbara, detta Bobi (Kathy Bates), un bonaccione meticoloso con il pallino della legge, fin troppo zelante. Sogna di far parte delle forze dell’ordine, anche se deve accontentarsi spesso di impieghi da sorvegliante. Non si dà mai per vinto, è una di quelle persone che segue le procedure alla lettera, attento a ogni dettaglio.

Ti chiamerò radar”, dice l’avvocato Watson Bryant (Sam Rockwell), l’unico in ufficio, dieci anni prima degli eventi narrati, a trattarlo come un essere umano; l’unico che gli sarà accanto fino in fondo. I tratti caratteriali del protagonista, abbinati all’aspetto fisico, non gli rendono la vita facile, attirando spesso lo scherno di colleghi o dei destinatari delle sue ramanzine. Il suo desiderio più grande è solo proteggere le persone.

Sarà proprio Richard Jewell ad accorgersi di uno zaino-bomba, lasciato sotto una panchina durante una delle serate inaugurali delle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Un “semplice” vigilante prende sul serio la minaccia, mettendo subito in pratica il protocollo d’azione che ha studiato e ristudiato, ancora una volta tenendo testa ai tentativi di minimizzare di colleghi apparentemente più esperti e brillanti di lui. Il tempestivo intervento di Jewell salverà molte vite (l’attentato provocò comunque 111 feriti e due vittime), trasformandolo in poche ore nell’eroe di Centennial Park celebrato dalle tv nazionali.

 La gioia negli occhi di Richard e Bobi durerà poco. I sospetti dell’Fbi si concentrano sul suo nome, i media sbattono il mostro in prima pagina. Eastwood ci va giù duro con i maggiori centri di potere americani – governo e stampa – incarnati dai personaggi della spregiudicata reporter dell’ Atlanta Journal-Constitution, Kathy Scruggs (Olivia  Wilde) e dell’ottuso agente speciale, Tom Shaw (John Hamm), spesso immersi in ambienti in penombra. Supponenti, superficiali, insomma disposti a tutto pur di chiudere la faccenda.

La pellicola mostra quanto sia semplice costruire a tavolino un colpevole, basandosi su stereotipi ed etichette della peggior specie. “Quel grasso coglione vive ancora con sua madre, è ovvio”, è una delle frasi più terribili pronunciate dalla sexy giornalista pronta a concedersi a Shaw dopo aver ottenuto lo scoop (cosa che in patria ha suscitato qualche accusa di misoginia per l’ex Ispettore Callaghan).

L’autore conosce bene il dramma di vivere con addosso un abito preconfezionato. Il fatto di essere dichiaratamente conservatore non gli ha impedito tuttavia di scrivere pagine di storia del cinema con film complessi e di straordinaria libertà espressiva come Mystic River, Million Dollar Baby, Lettere da Iwo Jima fino al recente The Mule. Ma ha impedito ancora una volta all’Academy di accorgersi del film, considerato solo per la prova attoriale della sempre ottima Kathy Bates candidata all’Oscar. Dimenticandosi però della grande performance di Paul Walter Hauser, già apprezzato nella serie Kingdom e nel film Tonya, incredibilmente simile al vero Jewell (che vediamo in una vera intervista televisiva) nel modo di parlare e di muoversi a fatica.

Questo è il ruolo della vita per l’attore capace di fare del suo personaggio un mix di goffaggine, bonomia e cieca fiducia nel sistema, un americano medio adorabilmente ottuso, al quale, mentre rischia la pena capitale, interessa soprattutto che si sappia che non è omosessuale.

Richard Jewell non ha nulla da nascondere, crede nelle istituzioni americane. Si fida di loro al punto da offrirsi di collaborare alla perquisizione del suo appartamento. Fiducia malriposta, perché l’Fbi, pur di chiudere l’indagine, cerca di incastrarlo giocando sporco. È il capro espiatorio perfetto: un redneck un po’ disadattato che ha molte armi in casa – ma dopo tutto “siamo in Georgia” – frustrato per non essere diventato un vero poliziotto che aspetta da sempre l’occasione per emergere.

A credere nell’innocenza della guardia restano solo la madre e un avvocato in bermuda, un altro personaggio d’oro per Sam Rockwell, capace di alternare continuamente commedia e tragedia nello stesso film (e a volte nella stessa scena) come pochi altri interpreti della sua generazione. Un legale di provincia, anticonvenzionale, anarcoide, dall’ironia al vetriolo, pronto a tutto per salvare Richard. Molto bello il modo in cui Eastwood mostra l’evoluzione del rapporto tra i due uomini: Briant vive ai margini, accetta il caso solo sotto la spinta della donna che lo ama, Nadya (Nina Arianda).

Una vecchia conoscenza sul luogo di lavoro si trasforma col tempo in un rapporto complesso tra i due. “Mi hanno insegnato a rispettare l’autorità” è una delle massime di Richard; Watson non si capacita che il suo assistito abbia ancora considerazione per quelle istituzioni che lo perseguitano. Esasperazione e comprensione procedono di pari passo, ma alcune battute dell’avvocato sembrano pronunciate direttamente da Clint Eastwood a muso duro, “Non sono il governo americano. Sono tre stronzi che lavorano per il governo americano, ricordatelo” oppure “promettimi che non diventerai uno stronzo se ti danno il ruolo del tutore dell’ordine: il potere può trasformare una persona in un mostro”. In realtà stronzi lo sono un po’ tutti nel film. Detto di Scruggs e Shaw, anche con gli altri personaggi  – il protagonista, sua madre e il suo bizzarro avvocato –  non ci andremmo volentieri a cena. Ma la presunzione d’innocenza non è valida per i bifolchi amanti delle armi?

 Qualche sorriso non guasta, anzi, rende ancora più credibile un confronto tra due visioni del mondo  – quelle di Richard e del suo legale – che più differenti non potrebbero essere.

La narrazione a guida Eastwood procede spedita, alternando camera a mano e riprese più classiche, sta addosso al corpo ballonzolante del suo antieroe, ci catapulta a Centennial Park, nel bel mezzo del caos pre e post-attentato e al centro del turbine mediatico che inghiotte – plasticamente, davanti alla sua abitazione – il povero Jewell durante gli 88 giorni di passione. Un’indagine dalle fondamenta d’argilla: non ci sono prove contro Richard che non fu mai arrestato, né ufficialmente accusato. Solo nel conclusivo faccia a faccia metterà in dubbio le sue convinzioni sui suoi accusatori.

Sei anni dopo si scoprirà che il vero attentatore è il suprematista bianco Eric Rudolph, che oggi sconta cinque ergastoli.

Il cinema ci ha abituati ad eroi con fattezze più simili a quelle di John Hamm che a quelle di Hauser, ma dopo tutto è l’uomo giusto al momento giusto a fare la differenza, non importa la sua stazza o il suo livello d’istruzione. Però per il regista degli Spietati l’abito, negli States, fa il monaco e lo storytelling può costruire versioni alternative della verità: è sufficiente non corrispondere ai canoni riconosciuti dalla società per ritrovarsi sulla croce. Interessante l’accento su una diversità non così cool da ottenere lo stesso riconoscimento di altre: in America in questi anni c’è orgoglio e rivendicazione di diritti per ogni minoranza – donne, gay, neri – ma se sei grasso puoi essere ancora insultato e bullizzato impunemente?

Eastwood, sempre a suo agio con storie vere di personaggi realmente esistiti (da Bird a J Edgar e American Sniper), con Richard Jewell conclude una ideale trilogia sugli eroi per caso, iniziata con l’ottimo Sully (molto simile la storia del pilota-eroe stritolato dalla macchina mediatica e dalla ottusa burocrazia) nel 2016 e proseguita, due anni dopo, con il meno riuscito Ore 15:17 – Attacco al treno.

Per il ruolo del protagonista si era parlato di Jonah Hill, poi rimasto solo nelle vesti di co-produttore del film insieme a Leonardo Di Caprio e alla Malpaso dello stesso Eastwood, che per le musiche collabora nuovamente con il cubano Arturo Sandoval dopo The Mule. Per 88 giorni media e investigatori hanno fatto di Richard Jewell l’attentatore del Centennial Park: tanto basta per distruggere la vita di un uomo qualunque, la cui unica colpa è aver dato l’allarme al momento giusto. “Cosa accadrà la prossima volta che una guardia noterà un pacco sospetto, credete che vorrà fare la mia fine?”, chiederà ai suoi accusatori. Jewell verrà riabilitato, ma morirà nel 2007, a soli 44 anni, stroncato da un attacco cardiaco.

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