Villetta con ospiti, il teorema della sopraffazione di Ivano De Matteo

by Nicola Signorile

La borghesia italiana ha tanto da nascondere. Ogni giorno, dalle pagine dei quotidiani, scopriamo un altro pezzetto di malaffare nascosto dietro le sontuose apparenze dei salotti alla moda.

In Villetta con ospiti Ivano De Matteo sceglie di indagare il cuore nero della provincia opulenta, di quel Nordest geloso del benessere, più o meno meritato, che non intende mettere a repentaglio per nessuna ragione. Che vuole difendere a tal punto da tenere armi in casa e ampliare a dismisura i limiti della legittima difesa.

Noir, commedia all’italiana, thriller da camera di impianto teatrale, il sesto lungometraggio dell’attore e regista romano è tutto questo insieme.  Come già accaduto negli ottimi Gli equilibristi e La bella gente, De Matteo trae spunto dalla cronaca per la sceneggiatura, scritta insieme alla compagna sceneggiatrice Valentina Ferlan.

Sette protagonisti che incarnano, ognuno, un vizio capitale, si muovono in una cittadina del nordest, nell’apparente normalità di un piccolo mondo familiare. Il giovane parroco (Vinicio Marchioni), il medico navigato (Bebo Storti), il poliziotto (Massimiliano Gallo), la madre di famiglia, Diletta (Michela Cescon), donna fragile pronta a prodigarsi per i meno fortunati, sempre un passo indietro rispetto al marito Giorgio (Marco Giallini), romano fedifrago, che ha raggiunto il successo gestendo l’azienda vitivinicola della famiglia della moglie, ancora di proprietà dell’anziana suocera, la megera Miranda (Erika Blanc).

Gioca la partita anche una famiglia romena: Sonja (Cristina Flutur) fa la cameriera a casa dell’anziana signora, mentre il figlio Adrian (Ioan Tiberiu Dobrica), appena arrivato dalla Romania, oscilla tra la vita onesta di sacrifici che vorrebbe per lui sua madre e i loschi affari dello zio Ilia (Marius Bizau). C’è qualcosa più di una simpatia tra Adrian e Bea (Monica Billiani), adolescente inquieta figlia della coppia protagonista: una intesa sbilenca, malvista dalla ricca famiglia della ragazza, destinata a diventare centrale per quello che accadrà all’interno della villetta di famiglia che dà il titolo alla pellicola.

Sono archetipi più che personaggi. Figure paradigmatiche che dovrebbero rappresentare punti fermi del microcosmo raccontato, invece sono proni a dinamiche che scavalcano ogni legge morale: la ricchezza  e il potere sono gli unici valori degni di rispetto e ai quali va subordinata ogni azione. Villetta con ospiti è un film perfettamente diviso in due.

La prima parte del film, quella diurna, è luminosa, girata quasi tutta in esterni, in luoghi simbolo, come la piazza, il bar del paese. Luoghi dove va in scena il teatro delle apparenze, dove si indossa pirandellianamente la maschera del bon ton e della convenienza. Tutto sembra svolgersi serenamente, all’ombra della perfida Miranda e della coppia Giorgio-Diletta. Poco alla volta, approssimandosi ai personaggi, origliando le conversazioni, ai tavolini di un caffè, dal parrucchiere o in parrocchia, la macchina da presa di Di Matteo scosta il velo dell’ipocrisia, ci mostra il razzismo strisciante, l’invidia sociale, le piccole prepotenze quotidiane, la corruzione che corrompe la cittadina.

Una cappa maligna con gli abiti rassicuranti della borghesia, sottolineata dalla fotografia di Maurizio Calvesi. Vizi privati e pubbliche virtù, insomma. Siamo dalle parti, con le debite proporzioni, di Signore e signori di Pietro Germi e del Capitale umano di Paolo Virzì, anche se il film deve scontare un certo meccanicismo della sceneggiatura, quel sentore di predeterminato che non fa mai bene all’evolversi della narrazione.

Di notte, la commedia di costume si veste di nero, rinchiude lo spettatore tra le quattro mura e i due piani della villetta degli orrori. Un fattaccio all’improvviso nel buio della notte è la svolta narrativa che svela senza pudore le meschinità della provincia italiana. Tutti i personaggi si affrontano con durezza, si scontrano in un luogo chiuso, in duetti efficaci (supportano le musiche di Francesco Cerasi).

Lo straniero ha messo in crisi l’equilibrio preesistente. La paura di perdere tutto fa venire a galla la pasta di cui è fatto ognuno di loro, nel profondo, al di là di ogni sovrastruttura morale. La camera indugia sui volti, passa fluidamente da una stanza all’altra, da un’impasse all’altra. L’istinto di conservazione tende a prevalere su ogni cosa.

Non perdo tutto per un rumeno de merda” dirà Giorgio alla moglie, che, messa alle strette, non sembra più così ferrea nelle proprie convinzioni inclusive. Il racconto morale a questo punto mette a nudo i legami finora sottotraccia tra i personaggi: affari, corruzioni, segreti da utilizzare al momento giusto. Gli interpreti scelti sono una delle forze di questa coproduzione italo‐francese tra Rodeo Drive, con Rai Cinema, e Les Films d’Ici.

Marco Giallini convince maggiormente nella seconda parte che gli permette di mostrare toni differenti rispetto a quelli già noti della simpatica canaglia, vista, per esempio, in Io sono tempesta. Michela Cescon si conferma ai suoi soliti, ottimi, livelli, nei panni di una donna debole, succube del marito e della algida madre, alla ricerca di redenzione e del calore umano che non ha mai avuto. Bebo Sorti (altro legame con Il Capitale umano) è la faccia perfetta della borghesia corrotta, un medico diventato ormai faccendiere con tanti scheletri nell’armadio; persino lo spaesato don Carlo di Vinicio Marchioni è chiamato a recitare la sua parte in questo orribile coro, un prete molto vicino alle sue pecorelle smarrite, specialmente a quelle di sesso femminile.

Una spanna su tutti, Massimiliano Gallo, Erika Blanc e Cristina Flutur.  Il commissario Ponti è personaggio complesso, duro, manipolatore. Un napoletano trapiantato al nordest che ha imparato a manovrare tutto e tutti in città, ad avere le amicizie giuste, a utilizzare a proprio vantaggio le informazioni in suo possesso. Traffica, insinua, manipola, ma il grande attore partenopeo è capace in poche scene di regalare al suo personaggio una umanità di fondo che fa capolino nelle pieghe della storia.

A una signora dello spettacolo italiano come Erika Blanc con più di 100 film all’attivo, teatro con Strehler e Alberto Lionello, il suo storico compagno di vita, bastano poche pennellate invece per tratteggiare la madre matrigna, crudele, dalla lingua tagliente sempre pronta a impartire comandi e a rimproverare la figlia per aver lasciato la sua azienda nelle mani del marito, uno “straniero” venuto dalla capitale per prendersi moglie e ricca dote. Infine, non si può non sottolineare il talento dell’attrice romena Cristina Flutur, indimenticata protagonista dello splendido Oltre le colline di Cristian Mungiu, capace di dare alla sua Sonja le sfumature giuste per non ricadere nello stereotipo dell’immigrata. Piena di dignità e di speranze per il figlio Adrian, mai servile, misurata nell’esprimere il dolore di una scelta impossibile.

Tutte queste figure rinchiuse nella villetta sembrano funzioni che Ivano De Matteo utilizza per costruire il suo teorema della sopraffazione, in cui lo straniero è vittima e capro espiatorio.  Nessuno in fondo è accusabile di nulla anche se, tutti insieme, si macchiano del peggiore dei peccati.

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