Fiore gemello, un film su due anime pure in anteprima al Festival del Cinema Europeo

by Paola Manno

Prima della proiezione, unica donna su un palco di soli uomini – produttore, distributore e presentatore- la regista di “Fiore Gemello”, Laura Luchetti, non ha paura di pronunciare la frase più banale, più potente e coraggiosa con la quale racconta il suo secondo film “È una storia in cui ci ho messo molto amore”. In genere, quando una donna utilizza la parola amore tutto diventa rosa e zuccheroso, come se questa parola non avesse accezioni infinite. Per questo, forse, molte donne hanno smesso di parlare d’amore, perché pare che ci renda banali, che ci renda tutte uguali, piccole e sentimentali. Abbiamo ancora bisogno, accidenti, di ricordarci il motto “We want bread and roses, too”, vogliamo il pane, ma anche le rose, ma anche la bellezza, che è un diritto come il lavoro e la salute. Quindi mi fa subito simpatia, questa donna che non solo è coraggiosa, ma che è multiforme: laureata in Scienze Politiche, segretaria di produzione in grosse produzioni americane, documentarista, autrice di corti d’animazione e regista di due lungometraggi.  

A me è venuta voglia di risponderle, subito “Si vede, cara Laura, tutto questo amore. Si vede in ogni inquadratura, in ogni movimento di camera, in ogni scelta artistica e tecnica. Che poi quello che racconti è l’amore più difficile in questo buio politico e culturale, l’amore verso l’altro.”

Il lungometraggio racconta la storia di due anime pure: Anna, un’adolescente che fugge da un delitto e da un uomo ossessionato da lei, e Basim, un giovane profugo africano, che davvero è sbarcato in Sardegna pochi mesi prima delle riprese.

Molte cose mi colpiscono in questo film. Una fotografia che non esalta la bellezza dell’isola -il cielo sembra sempre grigio, monocolore- e che mi pare si avvicini a uno stile documentaristico. 

Mi colpisce la telecamera quasi attaccata ai personaggi, come se volesse coglierne il respiro, rinchiuderli in una scatola dove si respira con difficoltà. Ho sentito più volte il desiderio di spazi ampi, come pure di vedere un mare aperto, immenso, infinito – siamo pur sempre in Sardegna-  ma nonostante tutto Fiore gemello non è assolutamente un film claustrofobico, tutt’altro.

Mi colpisce la poesia dei gesti, l’attenzione agli insetti.

Mi colpisce la bravura degli attori, entrambi non professionisti.  

Poi c’è una cosa che mi colpisce più di tutto: non ci sono donne in questo film.  A parte la protagonista (che resta praticamente muta, tranne nei brevi flashback), non ci sono altre donne. Né una madre, una sorella, un’amica, non una ragazza seduta al bar del paese. La Sardegna di questo film è svuotata, le donne non esistono nemmeno. Potrei vederci una metafora, una critica persino: anche nel cinema le registe donne sono praticamente invisibili. 7 su 100. Eppure il personaggio di Anna riempie tutto il film. Come l’autrice dalla cui testa, e dal cui cuore, è venuta fuori. Una delle pochissime registe italiane, l’unica regista italiana al Toronto Film Festival nel 2018, l’unica su questo palco, questa sera, una delle poche, tuttavia, che in mezzo a commedie tristi e film che non prendono rischi, dona dignità e orgoglio al nostro cinema nazionale.

Perché il cinema italiano, oggi più che mai, ha bisogno di questo film meraviglioso su due anime pure che, nonostante tutto, restano un atto di resistenza e di bellezza.

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