Dorothy McGuire, la signora del cinema americano

by Orio Caldiron

Sensibile attrice di teatro, Dorothy McGuire – è nata a Omaha, Nebraska, il 14 giugno 1916, morirà a Santa Monica, California, il 13 settembre 2001 – al cinema anima una galleria di personaggi femminili di singolare freschezza in cui la vulnerabilità non esclude la determinazione, senza mai diventare una star.

Sottile, minuta, i grandi occhi espressivi, si fa notare in Un albero cresce a Brooklyn (1945), il film d’esordio di Elia Kazan, dove il suo sorriso malinconico e riflessivo rende memorabile la figura della madre irlandese che regge le fila dell’intera famiglia sullo sfondo della New York inizio Novecento. La sua interpretazione è ancora più incisiva nel bellissimo Anime ferite (1946) di Edward Dmytryk, dove coglie con vibrante tenerezza l’inquietudine della giovane vedova di guerra che s’innamora di un reduce nel clima della difficile ripresa postbellica.

Il suo film più celebre è La scala a chiocciola (1946) di Robert Siodmak, destinato a diventare un classico del cinema della paura. Spiata dallo sguardo allucinato del serial killer che tenterà di strangolarla, la governante sordomuta si muove nella vecchia villa del New England, sovraccarica di specchi, arredi, tendaggi, con lo sguardo implorante della vittima, mentre l’angoscia non smentisce mai la femminilità. Il suo temperamento drammatico risalta in Barriera invisibile (1947), ancora di Kazan e in L’imputato deve morire (1955) di Mark Robson. Nel primo è la perplessa fidanzata di Gregory Peck, il giornalista che indaga sull’antisemitismo, nel secondo impersona la disincantata compagna dell’avvocato Glenn Ford impegnato nella difesa del giovane messicano ingiustamente accusato di omicidio.

Negli anni cinquanta conferma la sua versatilità dimostrando insospettate attitudini per la commedia in L’imprendibile signor 880 (1950) di Edmund Goulding, dove è un’interprete delle Nazioni Unite corteggiata dall’ispettore del tesoro Burt Lancaster sulle tracce di un piccolo falsario, e nel personaggio della segretaria dell’eccentrico Clifton Webb, in trasferta con due colleghe nella Roma da cartolina di Tre soldi nella fontana (1954), uno dei maggiori successi del periodo firmato Jean Negulesco. Sono numerose le mamme a cui dà vita sul finire del decennio, ma nessuna ha la stessa inflessibilità di Eliza, la madre quacquera di La legge del Signore (1956) di William Wyler, costretta a venire a patti con i suoi principi dalle intemperanze dei familiari, senza dimenticare l’oca Samantha. Quando la Disney produce il suo primo film di fiction, Zanna gialla (1957) di Robert Stevenson, il ruolo della madre dei ragazzi che nella fattoria del Texas si affezionano al cane randagio le spetta di diritto. La sua partecipazione a Scandalo al sole (1959), il mélo di Delmer Daves – un’altra madre, questa volta di Troy Donahue, il giovane che s’innamora di Sandra Dee sempre in short, rossetto e permanente – segna il passaggio del testimone alle nuove generazioni dei trasgressivi anni sessanta.

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