James Dean, il ribelle del cinema americano

by Michela Conoscitore

Dodici giorni prima di morire, James Dean aveva ultimato le riprese de Il Gigante, l’ultimo dei tre film in cui interpretò ruoli da protagonista, nel 1956, e che lo resero un mito per sempre.

Volto senza tempo, attore senza età, James Byron Dean concluse la sua vita a 24 anni alla guida della sua Porsche 550 Spyder, l’aveva soprannominata little bastard. Morì sul colpo, probabilmente nemmeno ebbe il tempo di razionalizzare quel che gli stava accadendo, come tante altre strade che aveva imboccato fino ad allora a velocità folle, fidandosi del proprio istinto, andando contro l’ordine precostituito, l’ipocrisia borghese, tutto quel che di ‘buono’ c’era negli Stati Uniti del Dopoguerra, compiaciuti e sornioni.

Cresciuto in una famiglia di quaccheri, la madre venuta a mancare molto presto, un rapporto conflittuale col padre, Jimmy, come lo chiamavano in famiglia, visse gran parte della sua esistenza nella fattoria degli zii, nell’Indiana. Intraprese l’università in California, nel 1949, ma la accantonò presto per dedicarsi alla recitazione che aveva catturato la sua attenzione. Ciò determinò una frattura ancora più profonda col padre. L’attore iniziò con piccole parti, principalmente pubblicità e ruoli da stunter fino alle prime prove teatrali.

La recitazione di Dean era innovativa, perché interpretava col corpo, era la macchina da presa che seguiva i suoi movimenti, provava a catturarne gli sguardi, ad inquadrare quelle pose fuori fuoco ma che divennero iconiche e fecero scuola. Il tormento che traspariva dai suoi personaggi era reale, Dean si fece portavoce di una generazione in fermento, disadattata, in disaccordo con i padri e pronta a denunciare quel che non andava in America. Il cinema, in quegli anni, dava spazio alla fisicità delle maggiorate, ai film Disney, lasciando in ombra le tensioni famigliari, e tra industriali e lavoratori soprattutto di colore.

Capire il completo significato della vita è compito dell’attore; interpretarla il suo problema; ed esprimerla la sua missione. Essere un attore è la cosa più solitaria del mondo. Sei completamente da solo con la tua concentrazione e con la tua immaginazione, e quello è tutto ciò che hai. Essere un buon attore non è facile. Essere un uomo è ancora più difficile. Voglio essere entrambi prima di morire.

Gli ‘happy days’, insomma, non lo erano poi così tanto e la vita di James Dean ne fu il simulacro perfetto: solo tre film per entrare nella leggenda, La valle dell’Eden, Gioventù bruciata e Il gigante, tutti girati nel corso di un anno e che fruttarono all’attore una candidatura agli Oscar postuma, la prima nella storia del premio. Film impegnati che abbandonavano il solco della tradizione cinematografica statunitense per preferire una narrazione d’autore, affidata ad un giovane interprete dallo sguardo un po’ obliquo, una fisicità incomprensibile, quasi straniante. Spiazza ancora oggi la sua voglia di scuotere lo spettatore, di smuovere qualcosa nella testa per svegliarlo dal sonno benpensante. E ci è riuscito, velocemente, come piaceva a lui.

Della sua vita privata, oltre a voci su storie omossessuali, una probabilmente anche con Marlon Brando, si conosce la relazione con l’italiana Anna Maria Pierangeli, suo grande amore. Il rapporto fu osteggiato dalla madre di lei, forse intimorita da quel ragazzo che tutto le sembrava tranne che perbene, e terminò con una rottura dolorosa per l’attore. Molti affermarono che dopo, Dean non fu più lo stesso. Nella tasca dei suoi pantaloni, giorni dopo la sua morte, ritrovarono un certificato di matrimonio dove accanto al suo nome, era riportato quello dell’attrice italiana. Una fugace storia con una giovanissima Ursula Andress e poi le macchine, sua passione incosciente ed eversiva.

Sogna come se dovessi vivere per sempre. Vivi come se dovessi morire oggi.

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