Janet Leigh, una settimana di riprese nella doccia di Hitch, senza mai diventare una star

by Orio Caldiron

Quando scompare quindici anni fa, il ricordo della sua folgorante apparizione hitchcockiana lascia in ombra il fascino sottile dell’attrice versatile che si è prodigata in una quarantina di titoli senza mai diventare una star. Janet Leigh – nome d’arte di Jeanette Helen Morrison nata a Merced, California, il 6 luglio 1927 e morta a Beverly Hills il 3 ottobre 2004 – è figlia di un agente immobiliare. Studia musica al college e si afferma come modella prima di essere scoperta dalla Mgm.

La freschezza del suo sorriso malizioso ne fa l’ingenua ideale del cinema mainstream del dopoguerra americano, a suo agio nel biopic canoro Parole e musica (1948), con Mickey Rooney, come nel natalizio Tu partirai con me (1949), accanto a Robert Mitchum. Nel ruolo di Meg di Piccole donne (1949), la più romantica e sfuggente delle sorelle March, conquista il pubblico femminile che ne condivide sogni e delusioni.

Se la moglie del reduce divorato dal senso di colpa di Atto di violenza (1949) si fa notare per lo sguardo smarrito e interrogativo, la donna del bandito di Lo sperone nudo (1953) non è solo una presenza femminile al di là delle convenzioni (maschiliste?) del western, ma anche una figura di forte risalto drammatico che – vitale, tenace, determinata – aiuta James Stewart a liberarsi dalle proprie ossessioni. Nei sontuosi costumi dell’avventura, da Scaramouche (1952) accanto a Stewart Granger a I vichinghi (1958), dove è contesa tra Kirk Douglas e Tony Curtis, sfoggia la radiosa bellezza del suo volto e l’incedere sensuale. Nelle pause di lavorazione partecipa con Tony Curtis, il suo terzo marito, al divertente In licenza a Parigi (1958) di Blake Edwards, dove anima con vivacità lo spirito beffardo della farsa antimilitarista. La sua predilezione per la commedia musicale trova la conferma più clamorosa in Mia sorella Evelina (1955) di Richard Quine, in cui dall’Ohio si trasferisce con Betty Garrett a New York per dare la scalata a Broadway. Nel vestito firmato Jean-Louis, è indimenticabile quando prova il numero di danza al ritmo rag di “Give Me a Band and MyBaby”.

Subito dopo il flop di Il pilota razzo e la bella siberiana (1957) di Josef von Sternberg, dove dal suo metro e sessanta fatica a incrociare lo sguardo di John Wayne, è Susan Vargas, la moglie del funzionario dell’antidroga di L’infernale Quinlan (1958), l’ultimo film hollywoodiano di Orson Welles.

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Nel clima notturno del noir sembra far le prove per il suo prossimo appuntamento. Quello fatale con Alfred Hitchcock che con Psyco (1960) fa di Marion Crane un’incandescente icona della modernità, pronta a moltiplicarsi nelle immagini cangianti e inafferrabili di uno spiazzante voyeurismo. Fino a quando Norman Bates la colpisce al cuore con una coltellata che lacera lo schermo. Quarantacinque secondi di suspense allo stato puro che continuano a far parlare di sé tra psicoanalisi e femminismo, mentre Janet nell’autobiografia ricorda come un incubo la settimana di riprese in cui è stata a mollo sotto la doccia. Negli anni successivi si allontana dal cinema per la tv. Nel segno dell’horror, in Fog (1980) di John Carpenter passa il testimone alla figlia Jamie Lee Curtis, che aveva avuto da Tony Curtis.

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