Jeanne Moreau, il più bel sorriso del cinema francese

by Orio Caldiron

Jeanne Moreau, il più bel sorriso del cinema francese, viene dal teatro, dove si fa notare in Il Cid accanto a Gérard Philipe, in La macchina infernale di Jean Cocteau e in La gatta sul tetto che scotta di Tennessee Williams.

Nel cinema debutta ventenne – è nata a Parigi il 23 gennaio 1928 e morta il 31 luglio 2017 – e, nell’epoca delle bionde alla Martine Carol, la ragazza bruna dallo sguardo intenso e dalla bellezza poco appariscente ottiene soltanto piccoli ruoli in film modesti.

Ma la lunga camminata notturna di Ascensore per il patibolo (1958) di Louis Malle – sullo sfondo dei Champs-Élysées viene verso la macchina da presa emergendo dal buio, accompagnata dalle variazioni jazz di Miles Davis – segna per un’intera generazione di spettatori l’incontro con uno dei volti indimenticabili del cinema contemporaneo.

Ascensore per il patibolo

Il clamoroso successo di Les amants (1958), sempre di Malle, fa dell’attrice una star. Singolare radiografia di un colpo di fulmine che diventa subito un’appassionata notte d’amore, il film inaugura nel segno dello scandalo la folta galleria di personaggi femminili dal fascino ambiguo e sensuale che verrà disegnando negli anni sessanta.

L’appuntamento fondamentale è quello con Catherine, la protagonista del triangolo di Jules e Jim (1962) di François Truffaut, straordinaria incarnazione della donna affrancata del ventesimo secolo, sospesa tra l’utopia della trasgressione amorosa e le regole della società borghese.

L’attrice si sottrae con impazienza al ricatto delle formule di chi lo considera il personaggio più importante della sua carriera: “Quale carriera? Questa è soltanto la mia vita. Sul set c’era un clima di grande leggerezza e insieme di profondità. C’erano pochissimi soldi, per finirlo li ho messi io. Eravamo una piccola troupe di nemmeno venti persone. Eravamo tutti innamorati”. Non molto diversi i ricordi del regista: “Jeanne dà il meglio di sé in un ambiente di lavoro ridente e tenero che lei stessa contribuisce a creare e aiuta a mantenere quando si tratta di esprimere forti emozioni. Le riprese di Jules e Jim restano, grazie a lei, un ricordo luminoso, il più luminoso dei miei vent’anni di cinema”.

Simbolo della Nouvelle Vague, non crede nelle star ma soltanto negli esseri umani destinati a avere un’influenza più o meno duratura, anche quando diventa l’icona contesa dai maggiori registi del cinema europeo come Michelangelo Antonioni, Joseph Losey, Orson Welles, Luis Buñuel, Jean Renoir.

Negli anni successivi ritorna trionfalmente al teatro, si sperimenta anche come regista con un paio di lungometraggi, tra invenzione e autobiografia, e il bellissimo documentario dedicato a Lillian Gish, la grande attrice americana che sente così vicina alla sua sensibilità.

Nella filmografia degli ultimi decenni spiccano alcune folgoranti apparizioni, dalla tenutaria del bordello di Querelle de Brest (1982) di Rainer Werner Fassbinder alla maestra di seduzione nella scuola di spie di Nikita (1990) di Luc Besson, dalla vedova del politico scomparso di Il passo sospeso della cicogna (1991) di Theo Anghelopulos alla cieca che visualizza i ricordi di Fino alla fine del mondo (1991) di Wim Wenders. Le sarebbe piaciuto lavorare con Fritz Lang, ormai lontano dal set, perché era uno dei pochi che capiva le donne.

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