Judy Holliday, la stella di George Cukor

by Orio Caldiron

Quando Judy Holliday vince l’Oscar come miglior attrice per Nata ieri (1950) di George Cukor, strappandolo di mano alle più carismatiche Gloria Swanson e Bette Davis, nessuno ricorda quanto c’era voluto per convincere il boss della Columbia a affidarle il ruolo di Billie Davis, che aveva brillantemente recitato per tre anni a Broadway.

Nessun’altra poteva interpretare meglio di lei il personaggio dell’oca bionda destinato a imprimere una svolta nelle immagini femminili del cinema hollywoodiano. Nel suo stralunato candore si muove come una sonnambula nell’universo delle relazioni sociali, una specie di Harpo Marx al femminile decisa a uscire dal suo mutismo per non smettere più di parlare con una o due ottave al di sopra della media. Nella trasferta a Washington è l’amante al seguito del losco re dei rottami Broderick Crawford, che straccia regolarmente a ramino, ma con l’aiuto pigmalionico del giornalista liberal William Holden la sua “innocenza” ha la meglio sulla corruzione dei politicanti, mentre la commedia si concede una strepitosa visita guidata ai monumenti tipici della democrazia americana.

La star dai riccioli biondi – nata a New York il 21 giugno 1921, se ne andrà il 7 giugno 1965 a soli quarantaquattro anni – ha alle spalle una lunga esperienza teatrale come autrice e interprete di riviste satiriche nei night-club. Nel cinema fa appena in tempo a apparire in un piccolo gruppo di film spumeggianti da Phfft…e l’amore si sgonfia (1954) di Mark Robson a Una cadillac tutta d’oro (1956) di Richard Quine e Susanna agenzia squillo (1960) di Vincente Minnelli. Ma la prova del nove del suo enorme talento è La ragazza del secolo (1954), ancora di Cukor, in cui ripropone il singolare personaggio della svampita, confermando la recitazione personalissima e l’inconfondibile tocco di eccentricità. Gladys Glover, la modella disoccupata che pensa meglio quando si toglie le scarpe, adocchia uno spazio pubblicitario al Columbus Circle e non esita a acquistarlo per tre mesi investendovi i suoi risparmi.

Nata ieri (1950)

Non resiste alla tentazione del grande cartellone vuoto in cui fa scrivere a caratteri cubitali il suo nome. La trovata è sorprendente e sembra anticipare le polemiche sui media dei decenni successivi. “Smontaggio per assurdo di tutto il meccanismo della celebrità, la morale della favola è che è più facile trovare la gloria che giustificarla e che questa gloria è meschina quando è ottenuta in una società incapace di vedere i propri lati ridicoli” (François Truffaut). Come capita alla sconosciuta subissata di richieste di autografi, chiamata negli show televisivi e negli spot pubblicitari, corteggiata contemporaneamente dal magnate del sapone Peter Lawford e dal documentarista Jack Lemmon al suo debutto. Ma ancora una volta prevale l’innocenza. Non è affatto disposta a tutto pur di sfondare. Non è disposta a mentire. La miscela di glamour e d’intelligenza, che le appartiene come a pochissime altre, è decisamente esplosiva.

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