Kirk Douglas, il figlio di venditore di stracci che divenne leggenda

by Orio Caldiron

Quando verso la fine degli anni dieci Herschel Danielovitch e Bryna Sanglel sbarcano a Ellis Island, per sfuggire come tanti altri ebrei russi alla violenza dei pogrom zaristi, non sanno che il loro sogno americano si sarebbe avverato fino a vedere il figlio, l’unico maschio oltre sei sorelle, lasciarsi alle spalle la miseria più squallida per conquistare l’Olimpo hollywoodiano.

Il figlio del venditore di stracci, l’autobiografia uscita nel 1988, racconta come Issur Danielovitch Demsky, nato il 9 dicembre 1916 a Amsterdam nello Stato di New York, sia riuscito a diventare Kirk Douglas, uno dei divi più celebri del cinema statunitense.

Il fisico atletico, lo sguardo sprezzante, la fossetta sul mento – dopo la laurea in lettere, il servizio militare in marina, l’apprendistato teatrale – s’impone con una galleria di personaggi aggressivi e violenti, spesso sgradevoli. Il grande campione (1949) di Mark Robson coglie con energia l’ambiguità di Midge Kelly, il brutale boxeur di umili origini ossessionato dal miraggio della vittoria, rinnovando il genere con insolita attenzione agli aspetti sadomaso della vita del ring. Chuck Tatum, il reporter senza scrupoli di L’asso nella manica (1951) di Billy Wilder che non esita a sacrificare la vita di un uomo intrappolato nella miniera, anima il ritratto al vetriolo di un’America amara che carnevalizza la morte con la cinica complicità dei media. In Il bruto e la bella (1952) di Vincente Minnelli, uno dei film più memorabili sulla giungla hollywoodiana, il suo Jonathan Shields, l’arrogante produttore un po’ Selznick e un po’ Val Lewton, è un personaggio spietato e vibrante, forse tra i più riusciti dell’intera carriera.

Non è un rapporto senza conflitti quello che stabilisce con Stanley Kubrick fin da quando gli affida la regia di Orizzonti di gloria (1957), prodotto dalla Bryna, la sua casa di produzione dal nome della madre, ma il risultato è straordinario. Il film – in cui l’attore si riserva il personaggio del colonnello Dax che sul fronte franco-tedesco della Grande Guerra cerca di difendere i tre soldati condannati a morte – è ormai considerato un capolavoro del cinema antimilitarista. I contrasti tra regista e produttore-interprete si accentuano con Spartacus (1960) che, sceneggiato da Dalton Trumbo, Kubrick disconosce. Anche se resta un kolossal inconsueto di notevole impatto visivo, con un Kirk Douglas più adrenalinico che mai.

Se frequenta quasi tutti i generi, è forse nel western che il pubblico lo ricorda di più, da Il grande cielo (1952) a L’uomo senza paura e Il cacciatore di indiani, entrambi del ’55, da Sfida all’O.K. Corral (1957) a L’occhio caldo del cielo (1961). Ma il più interessante è Solo sotto le stelle (1962), solenne congedo dal West che John W. Burns, il cowboy ancora radicato negli ideali della frontiera, traghetta con rabbia nella contemporaneità delle autostrade e dei jet. Sposato un paio di volte, ha avuto quattro figli tra cui Michael, che l’ha seguito con successo nella carriera di attore.

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