Shirley Temple, la bambina prodigio dai riccioli d’oro

by Orio Caldiron

Il culto della bambina prodigio – la “child star” che arriva prestissimo sullo schermo per restarci fino a che l’alibi dell’età glielo consente – è uno degli aspetti più inquietanti del divismo in grado di svelare come pochi altri l’ambiguo intreccio di sogno e realtà, glamour e puericultura, mito e merce che è al fondo del fenomeno.

Nel panorama del cinema americano, che è da sempre il terreno di cultura del fenomeno, o almeno quello di maggiore risonanza, si moltiplicano gli esempi attraverso i quali ci si può affacciare sul particolarissimo stardom dei piccoli interpreti. Sta a sé con la forza e insieme la debolezza di un modello irripetibile Mary Pickford. Se arriva sul set sedicenne, dopo aver calcato le scene a partire dai cinque anni fino ai trenta continua a impersonare in decine e decine di pellicole il ruolo sempre più assurdo della ragazzina dai lunghi riccioli biondi e dalle mossette da bambola.

Nessun’altra piccola attrice può vantare la popolarità di Shirley Temple – nata a Los Angeles il 23 aprile 1928, muore a Woodside, California, il 10 febbraio 2014 –  che nella seconda metà degli anni trenta, dai sei ai dieci anni, è in testa alla classifica degli incassi, stracciando Greta Garbo e Clark Gable, senza contare i trecentomila dollari all’anno che guadagna.

Qualche anno prima aveva debuttato come “bathing beauty” – come dimenticare le bellezze balneari adulte delle comiche di Mack Sennett? – in un piccolo costume da bagno tenendo in mano una coppa più grande di lei senza smettere di alzare il dito in modo buffo e disinvolto. Soprannominata Riccioli d’Oro, aveva un suo repertorio di gesti e di tic, di vivaci canzoncine, di inarrestabili esibizioni di tip-tap che sfodera in una ventina di film prima che il pubblico cominci a accorgersi che la sua beniamina sta crescendo, mentre va bruscamente in frantumi il mito dell’infanzia eterna.

Se viene da pensare all’insopportabile trionfo del lezioso tra moine svenevoli e micidiali scivoloni nella melassa, la realtà è diversa. Nonostante gli evidenti limiti di molti titoli della sua breve avventura cinematografica, la ragazzina è una vera attrice. Non si può dire se si tratti di dono naturale o del risultato delle scuole di recitazione, ma il suo talento è fuori discussione, come la sua attitudine per la commedia e, a tratti, la sua intensità drammatica. Basta vederla all’opera in L’idolo di Broadway (1938), il musical di Irving Cummings in cui è accanto ai giovanissimi Jimmy Durante e George Murphy, per restare incantati dalla singolare bravura e dalla insospettabile autorità con cui dirige il traffico e mette ciascuno al suo posto nella divertente sequenza del tribunale che riesce a trasformare nell’anteprima dello spettacolo in cui si esibiscono tutti gli attori, i ballerini e i cantanti a rischio di sfratto.

Se Shirley sa ritirarsi in tempo per affrontare da grande la carriera diplomatica che la porterà all’Onu, Deanna Durbin che, dotata di una voce straordinaria, furoreggia nel decennio dei quaranta subito dopo di lei, non si arrende e cerca di restare a galla anche quando la sua popolarità, legata alla freschezza di adolescente, comincia a scemare ma il box-office non perdona.

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