The Guilty, un thriller claustrofobico che ha tutto quel che serve al buon cinema

by Giuseppe Procino
The Guilty

Saper raccontare una storia è un dono. Non importa quello che racconti, ma se sei abile nella narrazione, potresti rendere intrigante anche una ricetta per la pasta alla carbonara.

Nel mondo del cinema di genere degli ultimi anni, quello che spesso è mancato è proprio questa prerogativa, l’abilità nel saper raccontare in maniera efficace. Non è importante quello che racconti, ma come lo racconti, perché ormai è stato già raccontato tutto o quasi. The Guilty – Il Colpevole è un film minimalista, ambientato quasi interamente dietro una scrivania, un modo di fare cinema che avevamo già visto sperimentare con Locke nel 2013 (totalmente ambientato al volante di un’automobile), ma che qui si colora di nero per regalarci 85 minuti da cardiopalma. È tra i film europei più noti delle ultime stagioni cinematografiche. La trama l’abbiamo già sentita:

Asger Holm è un agente di Polizia, declassato a centralinista per via di una violazione di cui l’indomani ci sarà un processo e che scopriremo davvero in maniera graduale. Il suo è un lavoro abbastanza frustrante. Tutto cambia quando Asger riceve la telefonata di una donna rapita, che chiede aiuto. L’uomo si ritroverà a dover risolvere il caso senza potersi allontanare dalla sua postazione.

Ma allora cosa fa di questa pellicola un piccolo caso?

Innanzi tutto la nazionalità, sì perché The Guilty è un film danese e in Danimarca è ancora possibile creare prodotti di intrattenimento che siano anche raffinatissime pellicole d’autore, come ci era già stato dimostrato dalla trilogia Department Q tratta dai romanzi di Jussi Adler-Olsen di pochissimi anni fa. Il cinema danese, lontano dai vari Von Trier e Vinterberg, è purtroppo spesso invisibile, lontano dalle nostre leggi di mercato e quindi non distribuibile se non attraverso le diverse piattaforme video che spesso ce le propongono con i sottotitoli tassativamente in lingua inglese. Proprio in Danimarca il film è stato campione di incassi ed ha ricevuto un’entusiastica accoglienza dalla critica, tanto da essere selezionato per rappresentare la nazione agli Oscar.

In secondo luogo, quello che fa di The Guilty un film seminale è l’essenzialità. Tre, sono infatti gli elementi fondamentali che compongono la formula vincente della pellicola. In primis una prova d’attore stupefacente, un intensissimo Jakob Cedergren, nei panni di un personaggio in continua crescita, un personaggio che si scopre pianissimo lungo la durata della pellicola, da eroe ad antieroe in cerca della propria redenzione. Essenziale anche la regia, seppur dinamica e coinvolgente, di Gustav Moller, talentuoso regista trentunenne alla sua prima prova con un lungometraggio. Ed infine una sceneggiatura scritta con grandissima maestria, in grado di dosare bene i momenti di suspance, di intrecciare i dialoghi e le situazioni creando un quadro complesso attorno ad una trama semplicissima, e sigillando con l’oro la pellicola grazie a un gran colpo di scena finale.

Completano il quadro una fotografia asettica ed un montaggio lineare (il film si svolge in tempo reale).

Non è quindi un caso che la pellicola abbia vinto e sia stata candidata praticamente ovunque: dal Sundance Film Festival, dove ha vinto il premio della Giuria, al Torino Film Festival, dove si è aggiudicata il premio del pubblico, sceneggiatura e miglior attore, passando per diverse candidature agli European Film Awards. Senza parlare del fatto che Jake Gyllenhaal abbia già firmato per il remake americano, già in produzione.

Una ricetta vincente quindi per un thriller claustrofobico, asfissiante, a tratti insostenibile, un crescendo di tensione corposo ed ipnotico, quasi hitchcockiano. D’altronde è stato proprio il grande maestro ad insegnarci, con il suo “Nodo alla gola” del  1948, l’essenzialità del cinema: una buona sceneggiatura, degli ottimi interpreti ed una regia intelligente possono bastare per tirare fuori il giusto potenziale di una storia.

Giuseppe Procino

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