Andrea Pazienza e quelle estati sul Gargano fra moto, canzoni e sogni di libertà

by Germana Zappatore

Avere 18 anni negli anni Settanta era tutta un’altra storia. Nell’aria si respirava ancora quello che nel decennio precedente erano stati i movimenti studenteschi e le contestazioni. Pieni di aspettative i ragazzi attendevano con animo trepidante la maggiore età per ‘aggredire’ il mondo. La testa era un vaso di Pandora zeppo di letture, sogni e ideali politici e sociali precisi e sbandierati ai quattro venti senza timori e sovrastrutture sulle note trasmesse alla radio o suonate da un giradischi delle canzoni che in quegli anni cantavano Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Rino Gaetano e Francesco Guccini (solo per citarne alcuni).

Avere 18 anni negli anni Settanta era tutta un’altra storia, soprattutto se avevi la fortuna di vivere vicino al mare. Le estati diventavano lunghissime e intense, il periodo più bello e atteso, perché era allora che potevi sentirti davvero libero dalla prigionia della famiglia, della scuola, della città e persino del mondo intero. Era allora che il freddo e apatico scorrere dei giorni diventava una leggera brezza da respirare a pieni polmoni.  
Avere 18 anni negli anni Settanta, dunque, era tutta un’altra storia. Soprattutto se avevi la fortuna di avere un amico di nome Andrea Pazienza. Andrea non era uno dei più rappresentativi e innovativi fumettisti e illustratori italiani.

Nel 1975 aveva 19 anni e per la sua ‘comitiva’ era semplicemente Andrea anche se, come ha ricordato a noi di bonculture il suo caro amico Luigi Damiani, “era già una persona speciale che emanava una energia continua, una incredibile voglia di vivere e ridere”. Era l’amico, il giocherellone, quello del gruppo che voleva vivere per conoscere il mondo e divorarlo, che lo raccontava con gli occhi e lo slancio emotivo di chi sapeva che oltre l’azzurro del mare cristallino del Gargano c’era un altro mondo che aspettava solo che qualcuno lo dipingesse con i colori giusti. 

Andrea Pazienza ritratto sul Gargano da Vanni Natola


E nel frattempo Andrea e i suoi amici vivevano le loro estati di libertà in quel lembo di terra bagnata dall’Adriatico, così tanto amata forse anche perché l’asprezza di alcuni suoi tratti era inconsciamente uno specchio in cui si riflettevano gli spigoli della propria giovinezza inquieta perché assetata di conoscenza. Estati che, ha ricordato Luigi con affetto e nostalgia, trascorrevano fra sole, bagni, ma anche corse in moto e chilometri in macchina lungo i tornanti delle strade garganiche che puntualmente si consumavano tra battibecchi sulla conclamata “ritrosia di Andrea ad usare il freno”. Giorni che Andrea e gli altri amavano anche passare a Gadescia, nella casetta nel bosco senza acqua e corrente elettrica di proprietà dei genitori di Luigi e dove i due amici scrissero su una scatola testo e musica dell’omonima canzone. “E poi c’erano quelle notti che potevano trascorrere anche semplicemente a chiedersi ‘cosa facciamo?’”. 


Erano le estati del 1975-76. L’anno successivo l’Italia intera avrebbe conosciuto e amato Andrea Pazienza, il “pugliese di San Menaio”, grazie a ‘Le straordinarie avventure di Pentothal’. Poco dopo fra lui e i suoi amici foggiani si sarebbe intromesso un terzo incomodo: l’eroina. “Una cappa pesante che ha cambiato le vite di tutti”, anche degli amici che saranno perennemente in ansia per lui, ma che continueranno a vederlo come “il ragazzo che faceva di ogni viaggio un’avventura fantastica da raccontare”. Perché Andrea Pazienza era stato un diciottenne degli anni Settanta, con i pro e i contro che l’appartenenza a quella epoca storico-sociale aveva rappresentato. 


“A un certo punto della mia vita – scriveva Paz in ‘Il plesso solare e la tecnica del fumetto’ – mi sono detto: non sono nato per disegnare i guantini di Michael Jackson, e non mi interessa disegnare orologini per la Philip Watch o non mi interessa entrare nella moda. Quello che mi interessa è comunicare, comunicare in un certo modo. (…) Io sono alla ricerca continua di motivi validi per comunicare qualcosa, per continuare a raccontare favole. (…) Chi se ne frega che cosa è e cosa non è, l’importante è, leggendo una storia, se ne rimani emozionato, condizionato o meno. Il punto è che ci sono storie che ti condizionano immediatamente, nel momento in cui le leggi ti senti trasportato in una specie di vagone nel quale entri e poi il treno va”.

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