Coşkun Aşar, il lato oscuro di Istanbul in una straordinaria mostra a Senigallia

by Alessandra Belviso

Ho camminato nel quartiere degli zingari di Edirne con loro. La tenerezza tradita. Tradita da un mondo che non vuole vedere. Un mondo che impone la piccola bolla della vita privata, vita privata dalle vite di piccoli borghesi, come unica immagine della vita vera. Ho bevuto con le ragazze, i ragazzi e i personaggi ibridi che popolano i vicoli sporchi e bui. Il mondo non vuole vedere tutto ciò.

Bruno Le Dantec

Coşkun Aşar ha iniziato a scattare fotografie nel 1995 per l’esigenza di registrare, come in un diario, la vita che scorre nei vicoli di Istanbul, quei vicoli al centro della città eppure fuori dalle rotte turistiche e del commercio, dove i bambini vivono per strada, dove hanno trovato casa quelli che il mondo borgese rifiuta, i trangender, i rom, gli emigrati, i poveri. Con le loro storie intrise di vita. Li ha fotografati per anni, usando la macchina fotografica come uno dei cinque sensi, per entrare in contatto con ciò che lo incuriosiva e lo attirava e ad un certo punto ha deciso di svuotare tutto questo lavoro accumulato dentro un libro “ Blackout – the dark side of Istanbul”. “

“Mi sento come un bicchiere d’acqua che continua ad essere riempito e comincia a strabordare. Questo libro è frutto di questo straripamento”, ha dichiarato quando ha presentato la sua opera, corredata dai testi di Bruno Le Dantec  che in questi giorni è in mostra a Senigallia. 77 scatti esposti a Palazzo Baviera fino al 31 marzo.

Una mostra fotografica in bianco e nero che racconta la luce e l’ombra della vita nei quartieri storici di Istanbul attraverso i volti e le persone che li abitano; nelle sue foto ci sono i bambini di Tarlabasi, lo storico quartiere greco armeno nel cuore della città che oggi è al centro di un violento processo di gentrificazione: espropri di case e sfollamenti per spostare la povertà altrove e sostituirla con hotel e negozi. I bambini la cui tenerezza è stata tradita, come ha scritto Bruno Le Dantec, che sono rimasti senza casa e costretti a vivere per strada. “Bambini seduti a terra nella cabina di un bancomat si riparano dalla fredda notte invernale. Vivono nell’ombra, fanno di quel posto il rifugio della notte” racconta Coşkun Aşar descrivendo una delle fotografie esposte. Il blackout è anche quello dei bambini che si fanno di diluente per spegnere la luce dall’oscurità che c’è fuori.

Ma di Tarlabasi ci riporta anche l’atmosfera suggestiva dei suoi vicoli. “Sono tornato a scattare in questo luogo molte volte, ma non mi è mai piaciuto il risultato fotografico. Poi ho scattato in questo istante. Le tende delle finestre che davano sula strada erano aperte e la luce era accesa. La vista notturna della strada aveva un bellissimo alone malinconico. Senza il poster che appariva attraverso la finestra, non sarebbe stata la stessa cosa. E’ l’immagine di una donna bellissima, attrice famosa in Turchia e modello di riferimento della comunità transgender e femminile turca”.

Coşkun Aşar ha iniziato la sua attività di fotografo nel 1995 come fotoreporter, mentre studiava cinema alla facoltà di comunicazione della Masmara University. Nato in Turchia nel 1974 , oggi è considerato un fotografo di fama internazionale, selezionato tra i 20 fotografi invitati ad esibire il proprio lavoro per il 50° anniversario della LEICA M series.

 Per lui la fotografia è il mezzo per avvicinarsi ai luoghi e alle persone che lo attraggono, approfondirne la conoscenza e far passare attraverso l’obiettivo le emozioni. Per questo preferisce non concentrarsi troppo sulla fotocamera e a volte prima di fotografare sceglie di andare a vivere l’esperienza di quel luogo che lo attrae e si lega alla vita delle persone che poi saranno i soggetti dei suoi scatti. “Per conoscere qualcosa di nuovo devi viverlo”, ha affermato. Vediamo questo soprattutto nelle fotografie che ritraggono la vita dei transgender, ripresi nelle loro case, in posa come davanti ad un amico, dei quali l’artista riporta le emozioni dei volti, la sessualità complessa e la vita notturna. Nelle sue foto ci sono le storie di queste persone: “Nuray è un’anziana prostituta in pensione. Conosco parte della sua storia e non ha avuto una vita facile. Tiene una rosa appoggiata alla tempia come fosse una pistola. Una sorta di suicidio con una rosa. Il suo viso e le parole sulla sua maglietta continuano il racconto”.

Racconta la vita che si accende di notte nei vicoli, dentro i bar, dove lavorano le prostitute e gli uomini trascorrono la loro vita emarginata. In uno scatto un uomo è seduto solo su uno sgabello. Asar lo conosce, è un frequentatore abituale di quel bar. Descrive così il momento in cui gli ha scattato la foto: sta finendo la notte e lui è solo e ubriaco, la sua sigaretta brucia da sola, i suoi occhi sono chiusi, la folla è scomparsa. C’è un’atmosfera malinconica fatta di sedie vuote, posacenere e spazio. La porta è aperta, è ora di andare. Ma dove?

La malinconia, la minaccia, la solidarietà, la sofferenza, l’amore, la solitudine. Ci sono tutte queste emozioni in Blackout, ci sono i luoghi e le persone che non hanno una collocazione nell”arredo contemporaneo”, nel “pensiero binario dei dispositivi elettronici”, nel “lusso ghettizzato”, per dirla con le parole di Bruno Le Dantec. “Noi siamo gli invisibili, i fantasmi, il fuori campo di un universo sottomesso alla dittatura delle immagini. Quindi sì, abbiamo ascoltato la canzone silenziosa del Dio dimenticato. Dei travestiti di Tarlablasi boulevard, meno tabù che le donne. Dei Gitani balcanici meglio considerati dei cani. Delle donne velate come vecchi mobili scartati. I bambini di strada con i loro litigi ridenti come atti d’amore pazzi. Inganno sulla merce.  Delusione. Vagabondaggio. Ricerca cieca. Sguardo del bambino testardo. La tenerezza tradita. Purgatorio. Rabbia. Tutto è lì”.

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