Il genio di Diane Arbus, la fotografa degli aristocratici della sofferenza

by Daniela Tonti

Tutti vorrebbero apparire in un modo e finiscono per apparire in un altro. Ed è questo che la gente osserva. Guardi qualcuno per strada e ciò che fondamentalmente noti sono i difetti. E’ straordinario che ci siano state date queste peculiarità, ma noi, non contenti, ne creiamo tutta un’altra serie.

Diane Arbus

Quando morì suicida all’età di 49 anni, Diane Arbus era già considerata un mito e una leggenda vivente della fotografia nonostante al tempo fosse noto solo un numero relativamente esiguo delle sue opere più importanti. Venne definita la fotografa dei freaks, la fotografa dei mostri, per quell’attenzione particolare agli “aristocratici della sofferenza” come li definiva lei, gli ultimi, i clochard, i circensi, le transgender e i malati mentali.

Per le strade e a Central Park, al circo e all’obitorio, in metropolitana, nei cinema e nei ristoranti, a Coney Island e nelle case del New Jersey, in tristi appartamenti, in camerini di rivista, così come nei dancing per i travestiti, negli alberghi per i diseredati, nei campi nudisti nel New Jersey, in un luna park del Maryland o in un anonimo ospedale psichiatrico,  Diane Arbus era ovunque con la sua macchina fotografica 35mm e il suo occhio, la sua capacità di confrontarsi, persuadere e sedurre, il suo talento era quello di guadagnare fiducia – o almeno qualcosa di più del tacito rifiuto – dai suoi soggetti.

Le immagini di Diane Arbus e il suo approccio si sono insinuate nell’ultimo mezzo secolo nel nostro immaginario collettivo. La conosciamo meglio come la fotografa del gigante chino nel salotto della casa dei genitori, del babbo natale con la barba storta, delle sorelle gemelle spettrali e identiche nei loro abiti abbinati che hanno ispirato le gemelle di Stanley Kubrick in Shining, degli amici nani russi in salotto, del ragazzino che fa smorfie con il sorriso smagliante e la bomba a mano giocattolo o del ragazzo nella paglietta con i distintivi della guerra del Vietnam.

Nata Diane Nemerov da una ricca famiglia nel 1923, Diane all’età di 18 anni sposa Allan Arbus. Inizia a scattare fotografie nella seconda metà degli anni ‘40 ma fu il workshop fotografico di Lisette Model nel 1956 a darle l’ispirazione che l’avrebbe portata al successo internazionale.

Nel 1960 vengono pubblicate su Esquire alcune delle sue fotografie. E nel decennio successivo arrivano altre riviste autorevoli come Esquire, Harper’s Bazar che pubblica più di cento ritratti, nati spesso come reportage tematici e accompagnati talvolta da alcuni suoi articoli.

Molto ha inciso nella sua poetica la visione del film Freaks di Tod Browing, un film che ha fatto epoca e ha continuato a ispirare opere e artisti fino ai giorni nostri, basti pensare alla quarta stagione della serie antologica American Horror Story. Diane Arbus si è spinta sempre più in periferia, a esplorare gli animi umani nei luoghi dove la fame, l’emarginazione e la miseria determinano la vita e la morale di una moltitudine di persone.

A popolare questi luoghi sono proprio i “freaks”, che conducono una vita parallela rispetto al cosiddetto mondo “normale”.

Tra il 1963 e il 1966, Diane Arbus lavora a un progetto sugli usi e i costumi degli americani viaggiando attraverso gli Stati Uniti e fotografando persone, luoghi ed eventi che lei stessa definì “le cerimonie più significative del nostro presente”

Questi sono i nostri sintomi e i nostri monumenti. Io voglio semplicemente salvarli, perché ciò che è cerimoniale, curioso e comune diventerà leggendario.

Diane Arbus

La forza dei suoi soggetti e del suo stesso approccio alla fotografia vennero considerati rivoluzionari. A partire dalla fine degli anni Sessanta la Arbus insegnò fotografia alla Parsons School of Design, alla Rhode Island School e alla Cooper Union continuando a fare fotografie. Tra le sue ultime opere spicca una serie di foto scattate in alcuni centri di accoglienza per soggetti affetti da ritardo mentale. Untitled raccoglie cinquantuno di queste fotografie, nel 1969.

Il New Yorker scrisse che Untitled è il massimo che può raggiungere l’iconografia con qualunque mezzo espressivo

Nel 1970 la fotografa iniziò a selezionare dieci stampe per farne una serie di edizioni limitate. Ma le sue condizioni fisiche e psicologiche peggiorarono. L’epatite le portò una serie di problemi di salute aggravati da una profonda depressione che la costrinse a far un uso sempre più smodato di psicofarmaci. Il 26 luglio del 1971 si suicidò assumendo una massiccia dose di barbiturici e tagliandosi i polsi.

L’anno successivo, la Biennale di Venezia le rese omaggio ospitando una sua collezione, mentre il MOMA le dedicò una mostra commemorativa.

Nel 2006 è uscito il film Fur: un ritratto immaginario di Diane Arbus, un film di Steven Shainberg ispirato al romanzo di Patricia Bosworth con protagonista Nicole Kidman .

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