Almodrama: Tutto su mia madre, il capolavoro di Pedro Almodovar

by Marianna Dell'Aquila

“A Bette Davis, Gena Rowlands, Romy Schneider. A tutte le attrici che hanno fatto le attrici, a tutte le donne che recitano, agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madri. A mia madre” è la dedica con cui Pedro Almodovar chiude Tutto su mia madre, il film del 1999 che compie venti anni dalla sua uscita nelle sale. Vincitore per la Miglior Regia al cinquantaduesimo Festival di Cannes e dell’Oscar come Miglior film straniero nel 2000, Tutto su mia madre è sicuramente uno dei film più delicati del regista spagnolo, un vero e proprio manifesto di fantasia e umanità tutta al femminile.

Manuela (interpretata dall’attrice argentina Cecilia Roth) ha un figlio di diciassette anni al quale, nonostante la volontà del ragazzo, ha sempre nascosto l’identità del padre. A Madrid, dopo una serata a teatro dove hanno assistito insieme alla rappresentazione di Un tram chiamato desiderio (dal film del 1951 diretto da Elia Kazan e che viene più volte citato nella pellicola del regista spagnolo), il ragazzo muore investito dall’auto su cui viaggia Huma Rojo (Marisa Peredes), l’attrice di cui il ragazzo era un ammiratore. L’auto non si ferma e scappa via. Manuela, come a voler esaudire l’ultimo desiderio del figlio, si reca a Barcellona per ritracciare il padre del ragazzo e qui scopre che è diventato un transessuale di nome Lola (Toni Cantò). Lola intanto ha messo incinta anche Rosa (Penélope Cruz), una suora alla quale ha trasmesso il virus dell’HIV. A Barcellona, Manuela ritrova anche la sua amica Agrado (Antonia San Juan) che riuscirà a far assumere come assistente di Huma. Il figlio di Rosa viene chiamato Esteban come il diciassettenne morto e sarà affidato a Manuela. Al funerale della suora si presenta Lola ormai lacerata anche lei dal virus dell’HIV e carica della consapevolezza dei suoi errori.

Per chi, come la sottoscritta, ha sempre amato il mondo rappresentato nel cinema di Pedro Almodovar, è impossibile non riconoscere in Tutto su mia madre il suo film più maturo, quello in cui il regista è riuscito a mixare dolore e divertimento spingendo alla massima espressione alcune caratteristiche costanti della sua cinematografia: dall’isteria all’esuberanza “tipicamente femminili”, dalla diversità sessuale (che non è spunto di riflessione per il regista, ma fonte d’ispirazione per la scoperta dell’altro) agli eccessi estetici e verbali, dall’amore per l’arte (il cinema, il teatro) a quello per le donne. Tutti elementi presenti nella filmografia del regista spagnolo sin dalla sua prima produzione, quella degli anni ’70 e ’80 in cui Almodovar ha avuto il coraggio di scardinare i canoni della commedia classica creando quello che in Spagna è stato definito “Almodrama”, un nuovo modello di melodramma cinematografico dai tratti più esagerati ed esuberanti di cui il regista spagnolo è stato l’indiscusso iniziatore.

Tutto su mia madre mette in scena il mondo femminile visto da Pedro Almodovar. Un mondo verso il quale il regista spagnolo ha sempre rivolto la sua attenzione relegando spesso le figure maschili a ruoli marginali e poco incisivi. Le donne di Almodovar sono eccentriche, esagerate, esuberanti, affascinanti, prorompenti e mai oggettivamente belle. E’ un mondo al femminile a cui Almodovar rende omaggio anche attraverso le numerose citazioni inserite nel film del 1999: dal titolo che è un chiaro riferimento a All about Eve di Joseph L. Mankiewicz al personaggio di Blanche di Un tram chiamato desiderio, dal riferimento a Come sposare un milionario di Billy Wilder a Bette Davis della quale, attraverso il personaggio di Huma, viene citata la frase “Ho iniziato a fumare per colpa sua”. Infine, il nome di Agrado che è un riferimento alla Gradisca di Amarcord di Federico Fellini al quale il regista spagnolo ha voluto rendere omaggio.

A venti anni di distanza dalla sua uscita, Tutto su mia madre resta uno dei film più belli di tutto il cinema europeo. I personaggi del film sono l’unione di sentimenti, umanità e divertimento e non rinunciano mai ad essere se stessi, anche con tutte le proprie debolezze. Tutti loro hanno il coraggio di essere come vogliono, perché, proprio come dice Huma, “La vera autenticità non sta nell’essere come si è, ma nel riuscire a somigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi”.

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