Dillilì a Paris, il viaggio immaginifico nella Belle Époque di Michel Ocelot

by Giuseppe Procino

Nella Parigi della Belle Époque, accompagnato da un giovane fattorino Orel, la piccola Dillilì indaga sul rapimento di alcune bambine. Vivrà un’avventura nell’attraente città, incontrando uomini e donne straordinari ma anche l’avventura più grande: l’amicizia.

Viaggio immaginifico in una Belle Époque Parigina fotografata (è il caso di dirlo) con incanto convincente, Dillilì a Paris è un capolavoro animato, un meraviglioso e realistico racconto nella Parigi del passato. Il tratto ormai è riconoscibile e riconoscibile è anche l’ennesima spinta verso la sperimentazione che ha permesso a Ocelot di creare una sua cifra stilistica ben definita al servizio di storie puntualmente ricercate, originali, in cui vi è sempre il richiamo verso altre culture, altri mondi. Ocelot è forse l’autore più importante della cinematografia d’animazione europea contemporanea e forse anche il più prolifico.

Dillilì a Parigi è un gioiellino, un’opera che sfiora la perfezione e si pone come una narrazione trasversale tra diverse generazioni fornendo vari livelli d’interpretazione. In questo film, c’è tutta la maestria del regista francese, che si diverte ad autocitarsi o semplicemente a stuzzicare il pubblico che è cresciuto con le sue opere. Per una volta però mette da parte il tema fantastico, il fil Rouge narrativo che unisce tutte le sue creazioni precedenti, mantenendo quelli che sono gli elementi della sua poetica cui è più legato: l’Africa e l’infanzia come “luogo” privilegiato del possibile e della scoperta. Niente draghi, fate, streghe in questo caso ma bambini che scoprono il mondo e che posseggono ancora una volta la saggezza dell’innocenza.

Dilili potrebbe essere una versione femminile e femminista di Kirikù, il personaggio che ha reso famoso il regista francese e proprio di quel bambino possiede la determinazione, il coraggio, la curiosità. Proprio la sua curiosità e l’amicizia con Orel, le faranno incontrare personaggi divenuti icone del sapere, dell’arte e della conoscenza e che hanno scritto pagine importanti del progresso sociale e culturale. Tutto in una Parigi quasi mitologica in cui agiscono per riflesso: Louis Pasteur, Marie Curie, Picasso, Modigliani, Proust, Rodin, Sarah Bernhardt… e tantissimi altri. È questa un’operazione simile a Midnight in Paris ma senza il retrogusto ruffiano, abbozzato, turistico e con un intento più pungente. In Dilili c’è la Francia, tutta: quella bellissima in cui si creavano i presupposti per una nuova età dei lumi e quella che lasciava indietro gli ultimi, relegando alle periferie gli esclusi dalla movida culturale e borghese e che vive il diverso come esotico.

Lo aveva già fatto Chris Marker nel 1963 con il bellissimo documentario Le Joli Mai, Ocelot ci riprova oggi, con questo capolavoro dell’animazione: fare una dichiarazione d’amore a Parigi. Dilili a Paris è questo: un vero atto d’amore e come ogni atto d’amore che si rispetti ha la capacità di esaltare i pregi e il coraggio di mettere a nudo i difetti. È un ritratto sincero, che non ha paura di raccontare le bellezze e le brutture di una società in evoluzione che ha scritto le pagine più belle della cultura occidentale, ma anche le più aberranti della follia coloniale, non a caso il film si apre con la piccola Dilili che si “esibisce” in uno zoo umano ricostruito per l’Expo di Parigi, usanza questa, comune in molte capitali europee. La nostra giovane protagonista si muove infatti in uno scenario tra progresso e razzismo, su un’ipotetica linea di demarcazione territoriale tra Africa e Francia, poiché troppo chiara per il suo popolo e troppo scura per i francesi.

Un viaggio poetico, fotografico, affascinante: un racconto di formazione che sa essere cupo e divertente all’occorrenza, ma anche una metafora della Francia contemporanea, in cui nulla sembra essere cambiato.

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