Sons of Denmark, fanta-thriller politico sul nazionalismo

by Giuseppe Procino

Danimarca, 2025. Un anno dopo l’esplosione di una bomba in pieno centro a Copenaghen, durante la quale un giovane danese ha perso la propria ragazza, Zakaria, un danese di origini irachene di diciannove anni, viene reclutato da un attivista locale, Hassan, il cui lavoro ruota attorno alla comunità d’immigrati. Per tutto lo stato c’è un forte sentimento anti-musulmano. Dopo che Zakaria ha dimostrato la sua dedizione alla causa, Hassan gli affida una missione segreta: l’assassinio di un politico di estrema destra, Martin Nordahl, che si prevede vincerà le prossime elezioni generali con un programma assolutamente xenofobo e anti migratorio. Ad aiutarlo anche Ali, un ragazzo più grande di lui ma ugualmente stanco delle continue rimostranze violente nei confronti della propria popolazione, Le cose andranno in maniera inaspettata.

Lento ma avvolgente, caratterizzato da una tensione crescente pronta a esplodere nel finale inaspettato e con un plot twist spiazzante, “Sons of Denmark” è uno dei prodotti migliori che la cinematografia della tensione ci ha regalato negli ultimi anni. È un film girato con uno stile secco ma potente, con un’efficacia così stupefacente da terrorizzare lo spettatore in maniera devastante. L’escamotage dell’ambientazione nel futuro permette a Ula Salim di scrivere senza responsabilità un film attualissimo, che si pone come un Fanta-thriller politico, ma è a tutti gli effetti un film di una drammaticità realistica. La scrittura è così uno degli elementi cardine di un prodotto che funziona nella sua dimensione di credibilità e di monito, in cui quello che ci viene svelato non è altro che la summa degli episodi di cronaca europea e quindi anche italiana degli ultimi tempi. Non è un caso che il leader del movimento nazionalista somigli e parli come “qualcuno di molto noto alle nostre cronache”, il cui partito appartiene al blocco politico Europa delle Nazioni e della Libertà, di cui fa parte anche Marine Le Pen, un movimento europeo nazionalista di estrema destra che riunisce tutte le peggiori forze xenofobe europee. La Danimarca ha, tra l’altro, alcune delle politiche anti-immigrazione più aggressive in Europa. Ad accompagnare una scrittura così ben definita e una regia così efficace nella sua essenzialità, una fotografia patinata, quasi da filtro social, quasi come se il lato pericoloso dei nuovi estremismi fosse caratterizzato dalla diffusione dei nuovi (anche se ormai vecchi) mezzi di comunicazione che danno voce a chiunque e permettono agli esaltati di creare un blocco.

“Sons of Danmark” ha l’ambizione di metterci in guardia, di provocarci, di farci interrogare sulla nostra coscienza soprattutto quando con leggerezza apponiamo una crocetta su una lista nel segreto di una cabina elettorale, ma lo fa con sguardo lucido e obiettivo, condannando chi sceglie la via del terrore e chi lo reclama per avvallare la propria causa. È questo il quesito su cui Ula Salim si sofferma: Vogliamo davvero un mondo in cui la violenza genererà altra violenza, nel nome di una supposta superiorità che è sintomo di un’ignoranza debordante? Basta non eleggere la gente sbagliata e non dargli credibilità. Basta semplicemente imparare dalla storia.  

Ula Salim ha solo trentacinque anni e questo è il suo primo lungometraggio ma agisce da cineasta impegnato ed esperto, quasi come se questo film fosse un suo dovere morale, quasi come se fosse necessario mostrarci il nostro futuro. Ci è riuscito. Il film è stato presentato in concorso all’ultimo Bif&St ed ha vinto pochissimi giorni fa, il Riviera International Film Festival di Sestri Levante. Speriamo prestissimo in una distribuzione sul nostro territorio.

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