Una notte di 12 anni, la vera storia di Pepe Mujica in un film necessario

by Giuseppe Procino
Una notte di 12 anni

Ci sono film necessari che sanno arrivare al momento giusto, e talmente necessari da sembrare didascalici rispetto al periodo storico presente. Se si aggiunge che il “tratto da una storia vera” iniziale acquisisce una valenza quasi universale quando quella “storia vera” di cui si parla è anche specchio di avvenimenti storici decisivi, quel film, oltre che rispondere a una necessità, acquisisce il carattere dell’urgenza.

D’altronde la storia è un ciclo continuo, in cui situazioni e avvenimenti sono destinati a ripetersi, pur con forza e intensità differenti.

“Una notte di 12 anni” è questo: un film necessario ed urgente per comprendere i meccanismi del potere e delle derive autoritarie a cui stiamo assistendo.

Siamo in Uruguay, nel settembre del 1973. In seguito al colpo di stato militare, guidato da Bordaberry, è guerra aperta alle organizzazioni e ai partiti della sinistra. Dichiarata fuori legge ogni forma di dissenso e di divergenza politica, molti esponenti vengono imprigionati e sottoposti a torture fisiche e psicologiche disumane.

Questo film è il racconto di tre di loro: Jose “Pepe” Mujica, Mauricio Rosencof ed Eleuterio Fernandez Huidobro. La loro colpa è di essere tre ‘tupamaros’, appartenenti cioè all’organizzazione di guerriglia urbana di ispirazione marxista-leninista attiva in Uruguay tra gli anni ‘60 e ‘70. 

Tratto dal romanzo autobiografico “Memorias del calabozo” (Memorie dal carcere) scritto a quattro mani proprio da Rosencof e Huidobro, “Una notte di 12 anni” è un film  claustrofobico, permeato di una violenza mai esplicita pur esplicitamente suggerita, una pellicola che a volte sfiora i toni del teatro dell’assurdo Pinteriano.

È appunto l’assurdo il filo conduttore dell’intera vicenda, l’incapacità di poter reagire al processo umiliante di disumanizzazione dei tre protagonisti, ridotti allo stato primordiale di ‘bestie’. Si tratta di un assurdo che sfiora il grottesco, ma che si rivela assolutamente reale. Eppure il film di Alvaro Brechner non è un film pessimista. Al contrario, è un film in cui la speranza vigila con attenzione sui tre protagonisti.

È la speranza del sentimento di ‘humanitas’ che fa capolino nell’amicizia tra Mauricio Rosencof e uno dei suoi carcerieri, la speranza di non impazzire del giovane “Pepe” Mujica, la speranza di Fernandez Huidobro (un Alfonso Tort che ci regala la più riuscita delle tre interpretazioni) di potersi ricongiungere alla sua famiglia, ma soprattutto la speranza del cambiamento.

Dopotutto, la storia ha dato ragione a quel soffio di speranza. I tre Tupamaros hanno davvero cambiato le sorti del loro paese: Rosencof è diventato una delle firme più autorevoli della nazione, Huidobro e Mujica due figure politiche di spicco. “Pepe” Mujica è diventato presidente dell’Uruguay nel 2010 e per la sua sensibilità verso gli ultimi si è guadagnato l’appellativo di “Presidente più povero del mondo”.

Una storia vera, quindi, raccontata con un equilibrio perfetto tra pathos e gelida cronaca, seppur a tratti (nello specifico nel narrare le vicende di Mujica) prenda in prestito espedienti stilistici dal thriller di cassetta.

Álvaro Brechner torna ancora una volta, dopo “Mr. Kaplan”, a occuparsi della memoria storica della propria nazione e dell’incapacità di far pace con la propria storia.

Se nel suo film precedente,  campione d’incassi in Uruguay nel 2014, affrontava il tema delle fughe dei nazisti in America Latina attraverso una rivisitazione del Don Chisciotte in una bizzarra chiave contemporanea, il riferimento, questa volta, è indubbiamente al referendum del 1989, in cui il popolo uruguaiano concesse l’amnistia (revocata nel 2004) ai responsabili dei crimini della dittatura militare. 

Forse è proprio grazie alla memoria che oggi l’Uruguay è uno dei paesi più progressisti dell’America Latina, perché ha imparato dal proprio passato e non ha mai dimenticato anni di battaglie politiche per ottenere i propri diritti. Ed evidentemente, anche grazie a Brechner, anche il suo cinema sa farne memoria.

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